Da quando ci sono le agenzie pubblicitarie, i creativi non operano più utilizzando la dimensione intuitiva del processo artistico, ma il loro lavoro è controllato, la sua efficacia è misurata e la sua creazione organizzata. Con l’introduzione del marketing, cioè la tecnica che studia il mercato per ricercare e realizzare la compravendita delle merci, si iniziò ad utilizzare un linguaggio specifico, che si distaccava da quello artistico, privilegiando uno stile spoglio e diretto nella comunicazione del messaggio pubblicitario, in modo da permettere all’osservatore, la massima chiarezza e leggibilità del
prodotto.
I pubblicitari, il copywriter in particolare, sono costretti a lavorare in un "contesto sociale" dove la produzione e il consumo sono liberi e il mercato è condizionato da una sovrabbondanza di offerta di prodotti e devono prestare maggiore attenzione all’immagine della marca. Bisogna essere in grado di creare una forte personalità alla marca da pubblicizzare, in modo da instaurare un legame oggettivo
tra il marchio e consumatore, contribuendo cosi, allo sviluppo del legame che viene a crearsi con il prodotto stesso. L’Azienda che amministra e decide gli investimenti pubblicitari commissiona,
censura, approva e paga. Difficilmente il direttore marketing di un’azienda produttrice di beni di consumo, vorrà pensare al denaro investito come a un finanziamento di valori artistici: business is business. Le aziende vogliono risultati di vendita e profitti: le ragioni di mercato prevalgono su quelle estetiche.
Può il copywriter esprimere alla meglio il suo talento creativo e agire libero come un pittore che dipinge nel suo studio? Non può. Anche un artista lavora su commissione e i pittori del Rinascimento lo sapevano bene. Il copywriter deve mediare, manipolare, accettare i compromessi. Il suo mestiere è di creare un ponte tra le ragioni del mercato e dell’azienda con l’universo della gente e dei consumatori. E’ scontato che il mestiere del copywriter non nasce da un corso di formazione di due settimane o da un affrettato corso universitario, ma si forma attraverso la lettura e la scrittura. Leggere molto e scrivere bene sono qualità che non si possono improvvisare e che vanno coltivate attraverso l’esercizio assiduo. Il copywriter , come lo scrittore, ha l’obbligo di padroneggiare le tecniche di scrittura. Ci fu un momento nel mondo pubblicitario di Madison Avenue, la mecca dei pubblicitari di New York, in cui andava di moda prendere qualcuno dalla strada e fargli scrivere gli slogan pubblicitari in slang. La nascita del mercato internazionale e dell’economia globale, ha contribuito all’aumento spropositato dei consumi facendo crescere il bisogno e la necessità di riconoscibilità dei prodotti. In questi ultimi anni la marca ha assunto un’importanza in tutti i settori del commercio. Essa costituisce una delle risorse più preziose di cui l’impresa possa disporre: fondamentale nelle politiche di marketing, la marca è un elemento di straordinaria validità. “Proviamo al mondo che il buon gusto, la buona arte, la buona scrittura possono creare una buona vendita”. La dichiarazione d’intenti (del 1949) della leggendaria agenzia di pubblicità americana Doyle Dane Bernbach può oggi sembrare utopistica, ma può ancora ispirare un copywriter.
È famoso il detto di Thomas Edison a proposito del talento creativo: «one percent inspiration, 99 percent perspiration». Le basi tecniche del copywriter sono utili e indispensabili, ma non possono sostituire l’esperienza, la sensibilità e l’attenzione ai valori umani. Insomma fare il copywriter è un mestiere (e un’arte) difficile.
http://www.pubblicitacopywriting.com/
lunedì 17 gennaio 2011
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