"Nel programma sono presenti inserimenti di prodotti a fini commerciali" questa è la frase che appare prima di qualsiasi programma televisivo e nei titoli iniziali o di coda di numerosi film.
Gli osservatori pù attenti, avranno sicuramente notato che quella che una volta veniva definita pubblicità occulta, oggi per far fronte alle numerose spese di broadcasting, sembra essere una vera e propria abitudine consolidata nella produzione di film e programmi televisivi.
Si tratta del product placement ovvero "lo strumento attraverso il quale si
pianifica e si posiziona un marchio all’interno delle scene di un
prodotto cinematografico a fronte del pagamento di un corrispettivo da
parte dell’azienda che viene pubblicizzata"
Esistono 3 diverse tipologie (Wikipedia):
Visuale (screen placement): il marchio lo si posiziona in
primo piano rendendolo ben riconoscibile da parte dello spettatore e
bastano poche inquadrature affinché il ricordo rimanga impresso nella
sua mente (...)
- Verbale (script placement): in questo caso il marchio viene
richiamato dai protagonisti del prodotto audiovisivo catturando
l’attenzione dello spettatore e facendo sì che il brand venga affiancato
alla reputazione del protagonista che lo cita (...)
- Integrato (plot placement): questa è la forma di product
placement più potente e coerente con la sua natura. Per differenziarsi
dalla pubblicità infatti un inserimento dovrebbe nascere da una
collaborazione tra azienda e produzione, in modo tale da integrarlo
adeguatamente all’interno della trama (es. Gran Torino, il Diavolo veste Prada ecc..) (...)
Ma quale è il vero valore in chiave marketing di questo strumento? Siamo sicuri che sia così performante? Il rapporto qualità/prezzo non è forse troppo sbilanciato sul lato "prezzo"?
Personalmente nutro delle forti perplessità su questo strumento e a tal proposito vi riporto l'interessante "Teoria dello Specchio" che Gianluca ha scritto sul suo MiniMarketing: "l'enorme visibilità del product placement c’è soprattutto per chi LA
VUOLE vedere: in genere, qualcuno che lavora da un competitor o nella
stessa azienda.
È il picco della mia teoria dello specchio: la pubblicità più venduta non è quella che più rende, ma quella che fa più figo nell’entourage di chi spende i soldi — che poi, a misurare, come a morire, si fa sempre in tempo."
Michele
mercoledì 16 maggio 2012
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