mercoledì 7 ottobre 2009

SIAMO TUTTI GIORNALISTI!

VI riporto alcune riflessioni sulla forza del "passaparola" quale primario strumento di informazione.. 
Fonte: ComunicazioneItaliana.it 
Di Andrea Riccio
Il passaparola è oggetto di studio da parte dei marketers ormai da qualche lustro.
Teoria e pratica del marketing si stanno spendendo sulla sua applicazione là dove possono trarre dei profitti, quindi nell'impresa, attraverso la promozione e vendita di prodotti e servizi o ancor meglio, di emozioni.
Passaparola in inglese si dice "word of mouth", letteralmente "parola di bocca". Con la tecnologia è diventato "word of mouse", cioè " parola di mouse". Chiaro il gioco di parole?
Ma l'ambito nel quale il passaparola si evoluto di più, però, è quello di un servizio tutto particolare, che appunto sa dispensare emozioni forti: l'informazione.
Roba inutile, vero?
Perché l'informazione? Perché proprio questa oramai la fa la gente, è il vero marketing 2.0. Anzi, senza marketing: è il semplice 2.0.
Il giornalismo della gente ("Citizen journalism" suona meglio) soppianta il giornalismo tradizionale. Scriveva Tom Curley, direttore dell'Associated press nel discorso di apertura della conferenza dell'Online News Association, nell'ormai lontano 2004:
«come abbiamo potuto vedere chiaramente nell'ultimo anno, i consumatori vorranno utilizzare la natura interattiva di internet per partecipare direttamente allo scambio delle notizie e delle idee. L'informazione come lezione sta lasciando spazio all'informazione come conversazione».
Sempre più persone infatti si informano, sì, anche dalla stampa, ma in modo indiretto: i social network che preferisco chiamare reti sociali, sono diventati una realtà diffusa con una rapidità impressionante, e servono appunto a trasmettere informazioni.
Nel giro di un annetto o due è diventata una cosa attuale e quotidiana giusto per qualche milione di italiani. C'è chi dice che le reti sociali, Facebook in testa, hanno insegnato a un pacco di gente ad usare il computer. Non credo si meravigli nessuno.
Tornando a bomba, quel che succede lo vediamo: dalle nostre reti preferite, a seconda dell'autorevolezza del nostro contatto su un certo argomento, riprendiamo le notizie che ci interessano, che ci scandalizzano, che ci divertono e le condividiamo a nostra volta, talvolta urlando, interessando altri e così via con la reazione a catena. Il marketing virale più compiuto oggi è nell'informazione.
La chiave sta nel fatto che essa dispone dell'ingrediente di base del passaparola, la spontaneità. Essa non è innescata da un'impresa per migliorare l'immagine di un prodotto e di conseguenza la sua redditività, ma proprio dalle persone che, con una notizia spesso freschissima, vogliono fare una denuncia, lanciare un allarme o far conoscere comunque un fatto.
La denuncia, gli allarmi, nascono da una violazione dei nostri valori. È per questo che si diffondono in maniera tanto virulenta, non paragonabile alla reazione a catena innescata da un qualsiasi prodotto/servizio/emozione. Su di essi anzi, appare più morboso il passaparola negativo, che appunto ha più lo spirito di una denuncia che non di una pubblicità.
Sia chiaro, è frequente trovare notizie create ad arte per fini commerciali, politici o altri, ma è anche più facile che queste vengano scoperte rispetto alle notizie artefatte da una diffusa parte della stampa, non a caso in forte crisi di credibilità.
L'informazione 2.0 parte dal basso, si fonda su informazioni fornite dal testimone, spesso oculare, che può documentare l'accaduto con la testimonianza più oggettiva: un video. Quanti ormai hanno una videocamera in tasca?
Sempre più spesso testate sconosciute vengono portate alla notorietà e le oligarchie dell'informazione, spiazzate, pèrdono di orientamento. Gli esempi dell'Iran e del Tibet, solo per guardare fuori da casa nostra, mi sembrano piuttosto eloquenti
Ultimo dettaglio: l'informazione ottenuta in questo modo è gratuita, cosa che i marketers non possono sottovalutare.
Ci sarà da riflettere?


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