Da ormai quasi dieci anni i “temporary” o “pop up” store fanno parte della nostra realtà distributiva. Anche chi non ama fare shopping ha notato la loro presenza diffusa ovunque. I primi esempi in Italia sono stati sperimentati da distributori, produttori del Largo Consumo e perfino di beni di lusso. Quando sono comparsi, i Pop-up Store sono stati considerati un segno di vitalità. Negozi che dal nulla apparivano per pubblicizzare un marchio (Nivea), per annunciare la partecipazione a manifestazioni sportive (Swatch), per scusarsi per la chiusura temporanea di un punto vendita per ristrutturazione (Louis Vuitton) o per il lancio di una nuova linea di prodotto (Benetton). L’oggi qui, domani là è un concetto particolarmente attraente per i giovani, crea novità nel panorama di riferimento del mondo al dettaglio. Citiamo come esempio quello di uno stilista americano che ha organizzato un tour di Pop-up, con negozi “guerrilla” annunciati all‘ultimo minuto attraverso i Social Media. Il temporary store è stato inoltre particolarmente efficace per i prodotti del Largo Consumo, che faticano altrimenti a trovare modalità di valorizzazione di idee creative presso il punto vendita, in accordo con i retailer. Diventa pertanto più facile, per la valorizzazione della brand experience, operare fuori dalla Distribuzione Organizzata, con inziative individuali temporanee, che, quando ben organizzate, sono in grado di offrire risultati efficaci: il valore aggiunto alla formula retail è il brivido della novità, l’offerta del momento. Nell’annunciare con trasparenza la loro esistenza fugace, chiedono un’azione immediata. E dato che non hanno bisogno di interfacciarsi quotidianamente con le richieste operative del distributore, sono in grado di sperimentare idee, organizzazione degli spazi, layout, in modalità non possibili presso i normali punti di distribuzione . Con i picchi raggiunti dalla crisi economica, il concetto di temporary store ha preso una nuova svolta. Mentre alcuni proprietari si ritengono fortunati ad affittare un locale, anche solo per un tempo limitato, altri si sono resi conto di poter chiedere un affitto più alto per contratti più brevi (a volte su base mensile). In altri casi, il termine "temporary store" è semplicemente una scusa per la vendita al dettaglio di prodotti di basso livello, negozi che sembrano magazzini, che tentano di mascherare il basso standing con l’apposizione dell’etichetta “Temporary store”. I centri commerciali ormai lo sanno e devono stare attenti: 1-2 “temporary store” sono accettabili. Poi le aspettative degli acquirenti scendono…ed il risultato finale diventa negativo.Oggi il Temporary shop sta virando verso un nuovo concetto di “evento”.
Milano, Corso Garibaldi 59, è la sede di un “buon esempio” di temporary store (continuativo). Gestito da Sidecar, che preferisce chiamarlo "shop-sharing", un mese ha ospitato bar caffè Saeco, poi Durex Reckitt Benckiser e per la settimana della moda di questo autunno è diventato una boutique Givenchy. Una sorta di “location” disponibile, un luogo dove vivere in prima persona l’appeal del brand. Nel mese di dicembre, Ferrero ha potuto far vivere direttamente la preziosità dei suoi prodotti al cioccolato in un affascinante punto vendita dove metre-chocolatiers creavano le famose praline Ferrero, catalizzando l’attenzione del consumatore: una pralina diversa ogni giorno, per gli acquirenti un motivo per tornare! Un favoloso spettacolo visibile dalle vetrine ha soddisfatto curiosità e palati, per un’esperienza gustativa sempre di alto livello. mentre le emozioni scaturite hanno creato un forte legame tra acquirenti e marchio. Nessuno potrà mai dimenticare l’emozione provata nel negozio, mentre vedeva la produzione di un Rocher o di un Mon-Cheri ... portando a desiderare un souvenir di quella caratteristica esperienza! Confezioni speciali, l‘aroma del cioccolato mentre cuoce, i pacchetti regalo - chi può resistere? E ricordate: è un evento, non un negozio. Per avere successo, deve essere in qualche modo “straordinario”. Tenete d‘occhio il prossimo, ma non distraetevi. Perderlo … è un attimo!
Fonte: Mymarketing.net
martedì 15 febbraio 2011
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