di Beppe Facchetti, Presidente Assorel.
«Si danno un appuntamento per gli affari loro, per vedersi, per uscire a cena, mica è prostituzione questa: queste sono pubbliche relazioni». Lele Mora dixit. Che fare? Ignorare questa sentenza, ripresa da tutti i media, dalle agenzie fino ad “Anno zero”? Chi per mestiere fa relazioni pubbliche può davvero sperare che, così come sarebbe giusto, non si confondano le “pubbliche relazioni” alla Lele Mora con le relazioni pubbliche, forma di comunicazione tra le più sofisticate e di qualità, oggi insegnata nelle Università e core business di aziende importanti, anche a livello multinazionale? Forse anche un po’ con autocritica, per il nostro cammino non ancora compiuto sulla conoscenza e reputazione di un’intera categoria, sentiamo allora la necessità di spiegare.
Non a caso, insistiamo tanto nel chiamare relazioni pubbliche quelle che invece generalmente vengono definite “pr”, termine che ha dignità nei paesi anglosassoni, ma da noi fa pensare ai butta dentro delle discoteche o a chi organizza relazioni molto private.
Insomma, dobbiamo essere precisi, se non altro per rispetto verso imprese che producono utili, pagano le tasse e danno lavoro a moltissimi giovani, in gran parte donne, con una diminuzione confortante della quota di precariato. Insieme alle attività su web (con incrementi fortissimi proprio delle digital pr) il settore delle relazioni pubbliche è quello, di tutto il comparto della comunicazione, editoria, tv e pubblicità in primis, che ha risposto con maggiore dinamismo alla crisi.
Un settore, dunque, che ha un ruolo importante in una società in cui lo sviluppo dipende tanto dai servizi innovativi; non a caso la nostra Associazione, Assorel, sta in Confindustria, dove la produzione soffre ma sa che può rilanciarsi se aiutata da una buona comunicazione, non emotiva, e che punti sul valore oggi più importante, la reputazione. Parliamo per un settore che nell’ultima rilevazione già superava un fatturato di 2 miliardi. Sarà anche colpa nostra se non riusciamo a far capire che lobby non è un termine spregiativo, e che i Tarantini e gli Anemone fanno un altro mestiere, persino opposto al nostro.
Ma se non emerge questa differenza, capita anche che l’art.7 della manovra finanziaria dell’estate scorsa vieti alla Pa di fare relazioni pubbliche, o le tagli dell’80%. Temi come la raccolta differenziata, la sicurezza sul lavoro, l’alcolismo e le droghe, le grandi malattie o le questioni irrisolte della modernizzazione del paese, dalla Tav alla diversificazione energetica, sono tutti esempi di campagne di interesse pubblico che per inciso già oggi sono gestite da aziende Assorel. Per noi non ci sono “target” da colpire, ma cittadini e consumatori il cui razionale consenso è decisivo per lo sviluppo. Con buona pace di chi fa affari organizzando il dopo cena.
Fonte: www.ferpi.it
mercoledì 24 novembre 2010
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