Si è svolto nei giorni scorsi al Palazzo delle Stelline, a Milano, il convegno ‘Marketing sensoriale nel punto vendita: la valenza della musica nello shopping experience‘, organizzato da Gruppo 24 ORE in collaborazione con Soundreef e MARK UP. La tematica del marketing sensoriale è stata sviluppata da diversi relatori analizzando le evoluzioni dello scenario normativo europeo in materia di concorrenza e disciplina sulla circolazione dei diritti d‘autore, e raccogliendo le testimonianze di catene commerciali che già utilizzano la musica di Soundreef come leva di marketing all‘interno del punto vendita. Che la musica sia fortemente interrelata alle emozioni è un fatto e la sua utilità a fini commerciali è ben nota da tempo. Un fenomeno cui si assiste sempre più di frequente è l’utilizzo in pubblicità di canzoni già famose: il passaggio dall’ambito culturale a quello promozionale comporta infatti due notevoli vantaggi, ossia lo ‘sfruttamento‘ di emozioni, perlopiù positive, già esistenti (legate alle situazioni in cui la canzone è stata udita precedentemente) e un surplus di popolarità per il prodotto pubblicizzato. Analizzare il marketing sensoriale, focalizzandosi in particolare sul fattore musicale/uditivo, offre la possibilità di cogliere le opportunità legate all‘utilizzo della musica quale strumento di marketing che influenza il tempo di permanenza, la propensione e la soddisfazione nell‘effettuare un acquisto. (...)
A spiegarci le interazioni e le relazioni del consumatore con il punto vendita sotto esperienza uditiva/musicale è Enrico Nonino, esperto di Marketing sensoriale. Perché al brand serve il sound? E’ la domanda a cui vuole rispondere. La musica muove negli individui un universo di ricordi, è legata alla nostra sfera inconscia e percorre vie diverse rispetto agli stimoli che ci arrivano da tutti gli altri sensi. Il percorso associativo con cui colleghiamo una melodia a uno spot cambia l‘approccio mentale al brand, e questo è l‘approccio esperienziale. Il luogo d‘acquisto e la sua atmosfera sono il primo luogo di coinvolgimento del cliente al brand, attraverso i fattori sociali, come il personale del punto vendita o gli altri avventori, gli stimoli immediatamente percepibili, gli aspetti estetici o funzionali, la pulizia, il profumo, il rumore finanche la qualità dell‘aria, il cliente riesce a vivere il prodotto in maniera ancora più diretta. Le risposte emozionali del consumatore sono la somma della percezione del servizio e di quella dell‘ambiente. Oggi la competizione è molto serrata e in questa situazione saper governare l‘esperienza d‘acquisto attraverso il controllo ambientale è molto importante.
La musica ha effetto sulla velocità di consumo, sull‘affluenza e il volume delle vendite, determina la percezione di un cliente riguardo l‘atmosfera di un locale e la diversità di stili musicali impatta in maniera diversa tra i consumatori. Oltre a influire sul potere d‘acquisto del consumatore si riflette anche sulla stima del tempo e quindi sul periodo di permanenza del cliente nel locale: ha effetto sui comportamenti pro-sociali ed è in grado di distrarre i consumatori da compiti mentali cognitivamente complessi. L‘obiettivo della musica applicata al marketing sensoriale è quindi di creare e sfruttare il potere evocativo della musica per permettere ai clienti l‘immersione totale in un universo relazionale che attraverso stimoli sensoriali aumentino le occasioni di acquisto del brand...
Leggi tutto su Mymarketing.net
martedì 31 maggio 2011
giovedì 26 maggio 2011
TOGLIETE QUESTO MANIFESTO!!!!!!!!
Questa pubblicità si commenta da sola.... sono disgustato... perdonatemi ma credo che la creatività pubblicitaria sia proprio un'altra cosa...
Domanda per l'agenzia: Visto che non si tratta di una rivista specializzata ma di un 6x3 lungo la strada.. cosa direste ad un bambino che vede il cartello?
Michele
Domanda per l'agenzia: Visto che non si tratta di una rivista specializzata ma di un 6x3 lungo la strada.. cosa direste ad un bambino che vede il cartello?
Michele
mercoledì 25 maggio 2011
ATTENTI ALLA VOSTRA SOCIAL REPUTATION...
Forse "non tutti sanno che..." la social reputation si può distruggere in poche ore/minuti/secondi.
O forse tutti lo sanno ma qualcuno finge di non saperlo. Bene, per tutte queste aziende/persone vorrei citare oggi una clamorosa case history negativa che ha coinvolto la United Airlines.
Per otto mesi la compagnia aerea si rifiuta di dare una risposta a Dave Carrol circa la rottura della sua chitarra avvenuta durante lo scarico bagagli.
Guardate qui cosa ha pensato di fare Dave....
Il video viene visto circa 10 milioni di volte, diventa un successo su I-Tunes e le perdite stimate in Immagine della United Airlines ammontano a circa 180 milioni di dollari.
E pensare che la chitarra ne costava "solo" 3.500....
Michele
O forse tutti lo sanno ma qualcuno finge di non saperlo. Bene, per tutte queste aziende/persone vorrei citare oggi una clamorosa case history negativa che ha coinvolto la United Airlines.
Per otto mesi la compagnia aerea si rifiuta di dare una risposta a Dave Carrol circa la rottura della sua chitarra avvenuta durante lo scarico bagagli.
Guardate qui cosa ha pensato di fare Dave....
Il video viene visto circa 10 milioni di volte, diventa un successo su I-Tunes e le perdite stimate in Immagine della United Airlines ammontano a circa 180 milioni di dollari.
E pensare che la chitarra ne costava "solo" 3.500....
Michele
martedì 24 maggio 2011
GLI SPOT PIU' SEXY SECONDO PLAY BOY
L'utilizzo del corpo femminile abbinato alle allusioni sessuali è e sarà sempre tema di dibattito dentro e fuori il mondo pubblicitario. Io però non posso che essere daccordo con quanto affermato in coda a questo articolo: "Come dice Woody Allen, se tutti possedessimo un po’ più di sense of humor, il nostro mondo non andrebbe così male."
Michele
In Italia difficilmente sarebbe successo. Nella “repubblica delle banane” in cui si discende dai Canti Fescennini, come soleva dire Fernanda Pivano, l’allusione sessuale non è qualcosa da nascondere, da censurare. Negli USA e in altre nazioni di lingua anglosassone le cose vanno diversamente. Così capita che alcuni spot pubblicitari vengano censurati in alcune nazioni, perché ritenuti troppo spinti o offensivi. Playboy però ha stilato una classifica per i video più osé, alcuni dei quali però sono anche molto simpatici.
In uno di questi, c’è Pamela Anderson, testimonial per “Crazy domains”, azienda che si occupa di registrazione domini: l’eroina di “Baywatch” è una capoufficio, che all’improvviso compare con una segretaria altrettanto piacente, in bikini dorato (un chiaro riferimento a certe fantasie derivate da “Guerre stellari”), nell’atto di farsi delle tenerezze spinte sotto una pioggia di latte, all’interno del sogno di un sottoposto. È uno spot molto allusivo, ma in fondo abbastanza divertente: basta guardare in faccia l’uomo, per capire che può vedere quelle donne solo nelle sue fantasie. Le donne australiane però se ne sono sentite offese e lo spot è stato ritirato.
Così come accadde per lo spot di Victoria’s Secret di Natale, in cui compaiono delle scatenate Alessandra Ambrosio, Marisa Miller e Miranda Kerr. Scatenate e capaci di scatenare le fantasie. Anche questo spot, in fondo, non ha ragioni sufficienti per la censura: comprare biancheria intima piacevole si fa per sé, ma non ha molto senso tenerla in un cassetto senza mostrarla a nessuno. Stessa sorte per una sensuale Eva Mendes nella pubblicità di un profumo di Calvin Klein: la campagna alla fine è stata ritoccata, ma in fondo non si vedeva nulla, e la modella riusciva a essere sexy senza mostrare il suo corpo in toto, forse la forma più alta di sensualità.
Playboy conclude la classifica con due video abbastanza simpatici, uno della lingerie “Lane Bryant“, giudicato troppo volgare per il primetime della ABC: il video non è male perché per una volta mostra come una taglia forte, se vestita bene (o vestita appena come in questo caso) può essere anche più bella delle modelle troppo magre che di solito vediamo in passerella. Infine, c’è il divertentissimo spot di una catena di ristoranti: una ragazza non riesce a vedere le patatine nel suo piatto, perché la vista le è impedita dai grandi seni. Per cui chiede aiuto alla cameriera, che poi tenta di sedurre. Il video è stato bandito, purtroppo: invece è volutamente ironico e grottesco e, a pensarci bene, non è assolutamente offensivo. Come dice Woody Allen, se tutti possedessimo un po’ più di sense of humor, il nostro mondo non andrebbe così male.
Fonte: Diredonna.it
Michele
In Italia difficilmente sarebbe successo. Nella “repubblica delle banane” in cui si discende dai Canti Fescennini, come soleva dire Fernanda Pivano, l’allusione sessuale non è qualcosa da nascondere, da censurare. Negli USA e in altre nazioni di lingua anglosassone le cose vanno diversamente. Così capita che alcuni spot pubblicitari vengano censurati in alcune nazioni, perché ritenuti troppo spinti o offensivi. Playboy però ha stilato una classifica per i video più osé, alcuni dei quali però sono anche molto simpatici.
In uno di questi, c’è Pamela Anderson, testimonial per “Crazy domains”, azienda che si occupa di registrazione domini: l’eroina di “Baywatch” è una capoufficio, che all’improvviso compare con una segretaria altrettanto piacente, in bikini dorato (un chiaro riferimento a certe fantasie derivate da “Guerre stellari”), nell’atto di farsi delle tenerezze spinte sotto una pioggia di latte, all’interno del sogno di un sottoposto. È uno spot molto allusivo, ma in fondo abbastanza divertente: basta guardare in faccia l’uomo, per capire che può vedere quelle donne solo nelle sue fantasie. Le donne australiane però se ne sono sentite offese e lo spot è stato ritirato.
Così come accadde per lo spot di Victoria’s Secret di Natale, in cui compaiono delle scatenate Alessandra Ambrosio, Marisa Miller e Miranda Kerr. Scatenate e capaci di scatenare le fantasie. Anche questo spot, in fondo, non ha ragioni sufficienti per la censura: comprare biancheria intima piacevole si fa per sé, ma non ha molto senso tenerla in un cassetto senza mostrarla a nessuno. Stessa sorte per una sensuale Eva Mendes nella pubblicità di un profumo di Calvin Klein: la campagna alla fine è stata ritoccata, ma in fondo non si vedeva nulla, e la modella riusciva a essere sexy senza mostrare il suo corpo in toto, forse la forma più alta di sensualità.
Playboy conclude la classifica con due video abbastanza simpatici, uno della lingerie “Lane Bryant“, giudicato troppo volgare per il primetime della ABC: il video non è male perché per una volta mostra come una taglia forte, se vestita bene (o vestita appena come in questo caso) può essere anche più bella delle modelle troppo magre che di solito vediamo in passerella. Infine, c’è il divertentissimo spot di una catena di ristoranti: una ragazza non riesce a vedere le patatine nel suo piatto, perché la vista le è impedita dai grandi seni. Per cui chiede aiuto alla cameriera, che poi tenta di sedurre. Il video è stato bandito, purtroppo: invece è volutamente ironico e grottesco e, a pensarci bene, non è assolutamente offensivo. Come dice Woody Allen, se tutti possedessimo un po’ più di sense of humor, il nostro mondo non andrebbe così male.
Fonte: Diredonna.it
venerdì 20 maggio 2011
APRE IL CANTIERE DELLA "FEDERAZIONE ITALIANA DELLA COMUNICAZIONE"
Se son rose fioriranno, è proprio il caso di dirlo. Dopo i tentativi falliti del passato, l'Italia che fa comunicazione prova ancora una volta a fare fronte comune guardando fuori dai 'giardinetti' delle singole associazioni. Ieri, a Milano, Diego Masi, presidente di AssoComunicazione, Lorenzo Strona, presidente di Unicom, e Beppe Facchetti, presidente di Assorel, hanno tenuto a battesimo il comitato per la costituzione della 'Federazione Italiana della Comunicazione'. Legate ormai dalla comune appartenenza a Confindustria, le tre associazioni hanno ufficialmente avviato un progetto federativo che nelle intenzioni dei promotori dovrebbe vedere la luce entro la fine del 2012. “Abbiamo pensato di istituire una sorta di assemblea costituente - ha detto Masi – perché non abbiamo ancora chiaro in mente il modello a cui vogliamo approdare”. All'interno del comitato, oltre allo stesso Masi, presidente, e ai due vice Strona e Facchetti, saranno rappresentate in modo paritetico le tre associazioni, per un totale di dodici membri. Faranno parte della squadra: Rossella Sobrero, Peter Grosser ed Eugenio Bona per AssoComunicazione, Filomena Rosato, Andrea Cornelli e Diego Biasi per Assorel, e Donatella Consolandi, Alessandro Colesanti e Alessandro Ubertis per Unicom. “La Federazione - ha continuato Masi – può essere realizzata in tre modi diversi. Un modello è quello integrativo che al termine del percorso dovrebbe portare alla confluenza delle singole associazioni nella nuova realtà. Le altre opzioni prevedono un modello federativo stretto, capace di coinvolgere altre associazioni dell'area dell'intermediazione, oppure un modello federativo allargato, aperto anche a realtà più distanti”. Niente sembra al momento definito, anche se già si colgono sensibilità diverse fra i promotori. “Non vogliamo entrare con delle pregiudiziali - ha commentato Facchetti -. Saranno tanti i nodi da sciogliere, ma siamo consapevoli che sono i tempi a spingerci verso la federazione”. Unico a sbilanciarsi è stato Lorenzo Strona: “Personalmente sono favorevole all'ipotesi integrativa - ha sottolineato -. Rappresentiamo, con le tre associazioni, circa 370 aziende, riusciremmo ad avere più peso parlando con una voce unica. Mi chiedo se abbia senso mantenere tre strutture separate, con i relativi costi. L'integrazione poi non comporta l'impossibilità di federarsi con altri soggetti”. Intanto Diego Masi ha indicato le possibili aree di intervento della Federazione Italiana della Comunicazione focalizzandosi su tre punti: lavoro (manca un contratto nazionale di categoria), rapporto con le pubbliche amministrazioni e ruolo all'interno di Confindustria. “Dobbiamo essere capaci di sensibilizzare sia il settore pubblico sia le aziende associate in Confindustria sull'importanza della comunicazione. Nelle nostre azioni prevarrà il principio di sussidiarietà: la Federazione cercherà di fare quello che le associazioni non riescono a fare da sole”, ha precisato il presidente di AssoComunicazione.
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mercoledì 18 maggio 2011
QUANDO UNA FOTOGRAFIA FA LA DIFFERENZA...
Ieri pomeriggio sono stato negli uffici della Eposn Italia a Cinisello Balsamo (Mi) per questioni lavorative. Nella sala d'attesa sono esposti i calendari Epson da collezzione. In particolare sono rimasto molto affascinato da quello 2004 realizzato in collaborazione con il fotografo Giovanni Gastel.
Desidero condividere con voi le immagini di questo calendario perchè credo siano la miglior arma di battaglia contro l'appiattimento creativo generale dovuto in parte all'utilizzo spasmodico di banche immagini di dubbia qualità.
Michele
Giovanni Gastel, che da più di vent'anni collabora con le principali riviste di moda, è uno dei protagonisti della comunicazione pubblicitaria. Un fotografo che sa anche divertirsi e divertire.
Desidero condividere con voi le immagini di questo calendario perchè credo siano la miglior arma di battaglia contro l'appiattimento creativo generale dovuto in parte all'utilizzo spasmodico di banche immagini di dubbia qualità.
Michele
Il calendario Epson 2004, intitolato "La realtà immaginata", è un'opera prodotta in edizione numerata e tiratura limitata con una particolare lavorazione artigianale: su ciascun esemplare infatti sono incollate a mano le stampe originali, prodotte con le stampanti inkjet Epson di ultima generazione, su carta speciale Epson.
Giovanni Gastel, che da più di vent'anni collabora con le principali riviste di moda, è uno dei protagonisti della comunicazione pubblicitaria. Un fotografo che sa anche divertirsi e divertire.
Portando la sua immaginazione visiva fino alle frontiere della creatività, costruisce immagini fantastiche nelle quali si intersecano di volta in volta continui rimandi di realtà diverse o bruschi cambi di prospettiva o di dimensione, in cui il colore gioca un ruolo importante, spiazzando lo spettatore.
Fonte: www.epson.it
martedì 17 maggio 2011
SE GUARDI LA PUBBLICITA' TI PAGO!
A Facebook dico "stai attento a non esagerare, a non snaturarti.." mentre alle aziende dico "non pensate che per creare una community forte attorno al brand basti comprarsi fan e/o view".
Michele
La strategia del social engagement, il coinvolgimento attivo dell’ utente online nelle operazioni di social marketing, ha compiuto un nuovo passo in avanti con la messa a punto di un sistema di ‘’scambio’’. Se guardi la pubblicità ti pago. Tu mi dai un po’ di attenzione (un valore reale e prezioso per la sua scarsità) ed io, in nome del brand che rappresento, ti dò in cambio qualche moneta (più o meno) virtuale.
Scambio ineguale?
In ogni caso, fra qualche settimana (per ora solo negli Usa, sembra) Facebook offrirà 1 credit (circa 10 centesimi di dollari) della sua moneta virtuale agli utenti che visioneranno per intero un video pubblicitario pubblicato su FB.
‘’Dare una ricompensa per ogni video potrebbe stimolare le persone a fidelizzarsi nel confronto del marchio o dell’azienda che si sta promuovendo’’, osserva web20.excite.it . Fino ad ora infatti la pubblicità su FB era stata proposta male e risultava spesso nascosta e quindi poco remunerativa.
I tanti restyling non sono serviti evidentemente a migliorare i ricavi se Facebook ha deciso di ‘’pagare’’ chi guarda la pubblicità.
Il nuovo sistema – aggiunge web20.excite.it – passa attraverso una partnership con TrialPay, società che ha sviluppato Dealspot, un sistema per veicolare le campagne di advertising nelle applicazioni di Facebook.
Un sistema del genere viene usato sia fuori da Facebook che al suo interno in molti social game come ad esempio Cityville e Farmville. La valuta dei Credit verrà accreditata sull’account Facebook accumulando così moneta (virtuale) sia nel caso della visione completa di un video sia nel caso di utilizzo di una applicazione brandizzata.
Fonte: www.lsdi.it
Michele
La strategia del social engagement, il coinvolgimento attivo dell’ utente online nelle operazioni di social marketing, ha compiuto un nuovo passo in avanti con la messa a punto di un sistema di ‘’scambio’’. Se guardi la pubblicità ti pago. Tu mi dai un po’ di attenzione (un valore reale e prezioso per la sua scarsità) ed io, in nome del brand che rappresento, ti dò in cambio qualche moneta (più o meno) virtuale.
Scambio ineguale?
In ogni caso, fra qualche settimana (per ora solo negli Usa, sembra) Facebook offrirà 1 credit (circa 10 centesimi di dollari) della sua moneta virtuale agli utenti che visioneranno per intero un video pubblicitario pubblicato su FB.
‘’Dare una ricompensa per ogni video potrebbe stimolare le persone a fidelizzarsi nel confronto del marchio o dell’azienda che si sta promuovendo’’, osserva web20.excite.it . Fino ad ora infatti la pubblicità su FB era stata proposta male e risultava spesso nascosta e quindi poco remunerativa.
I tanti restyling non sono serviti evidentemente a migliorare i ricavi se Facebook ha deciso di ‘’pagare’’ chi guarda la pubblicità.
Il nuovo sistema – aggiunge web20.excite.it – passa attraverso una partnership con TrialPay, società che ha sviluppato Dealspot, un sistema per veicolare le campagne di advertising nelle applicazioni di Facebook.
Un sistema del genere viene usato sia fuori da Facebook che al suo interno in molti social game come ad esempio Cityville e Farmville. La valuta dei Credit verrà accreditata sull’account Facebook accumulando così moneta (virtuale) sia nel caso della visione completa di un video sia nel caso di utilizzo di una applicazione brandizzata.
Fonte: www.lsdi.it
giovedì 12 maggio 2011
HUGGIES: IDEA GENIALE PER LA FESTA DELLA MAMMA
Da tempo sono convinto che a prescindere dalle tecnologie, la differenza in un'attività di digital pr venga fatta dall'idea strategica posta alla base del progetto/campagna/iniziativa. A tal proposito non posso che fare i miei più sentiti complimenti ad Huggies ed ai creativi che hanno trovato il modo estremamente brillante di portare il brand nel tecnologico mondo delle App.
Michele
Scopri i pensieri del bebè che porti in grembo!
La prima applicazione che ti fa sentire mamma anche se non lo sei ancora: ascolta i pensieri del tuo bambino.
Per la festa della mamma c’è qualcuno che ha pensato anche alle future mamme…
Guarda il video e scopri la nuova applicazione per iPhone firmata Huggies, che ti permette di scoprire cosa frulla nella sua testolina! Metti la camera di fronte la tuo pancione, scatta e attendi qualche secondo: scopri il suo umore, ciò di cui ha voglia o i consigli che ti vuole dare.
Se aspetti un bebé e sei curiosa di sapere cosa passi per la sua testolina...
Fonte: http://www.iamstyle.it
Michele
Scopri i pensieri del bebè che porti in grembo!
La prima applicazione che ti fa sentire mamma anche se non lo sei ancora: ascolta i pensieri del tuo bambino.
Per la festa della mamma c’è qualcuno che ha pensato anche alle future mamme…
Guarda il video e scopri la nuova applicazione per iPhone firmata Huggies, che ti permette di scoprire cosa frulla nella sua testolina! Metti la camera di fronte la tuo pancione, scatta e attendi qualche secondo: scopri il suo umore, ciò di cui ha voglia o i consigli che ti vuole dare.
Se aspetti un bebé e sei curiosa di sapere cosa passi per la sua testolina...
Fonte: http://www.iamstyle.it
lunedì 9 maggio 2011
ADV AL FEMMINILE: STEFANEL CAMBIA I CANONI COMUNICATIVI
Oggi vi riporto questa interessante analisi dell'ultima campagna adv del marchio High di Stefanel.
Non aggiungo ulteriori osservazioni in quanto mi trovo perfettamente in accordo con Valeria Sirabella, autrice dell'articolo pubblicato su Mondodonna ed esprimo i miei più sentiti complimenti ai creativi che hanno studiato la campagna (in fondo le idee made in italy non sono sempre da buttare).
Michele
Sfogliando una rivista mi sono ritrovata a stupirmi davanti alla pubblicità di un marchio di abbigliamento femminile: la vedete qui sopra (il marchio è High, dell'azienda Stefanel).
Trovo che sia davvero innovativa. L'immagine stride fortemente con l'immaginario pubblicitario in cui si inserisce, e ribalta un motivo tradizionale delle pubblicità di moda: l'immagine romantica e bucolica di una lei perfettamente a proprio agio in abiti e scarpe tanto seducenti quanto visibilmente scomodi.
Per dissacrare questo motivo tradizionale, questa pubblicità non si limita a fare la scelta troppo semplice di usare un'immagine opposta, che potrebbe essere ad esempio, che ne so, quella di una ragazza in abiti comodi che ostenta senso di libertà, in stile Nuvenia Pocket.
Prende invece il personaggio tipo di una pubblicità tradizionale, con tutto il suo habitat di prati e fiori, e lo trasferisce in un nuovo mondo in cui può essere se stesso, dimostrare come si sente: ecco che la fanciulla stanca morta si lascia andare, sbadiglia sonoramente e si massaggia i piedi doloranti per via dei tacchi.
Non viene proposto un modello nuovo ma ci si limita, più efficacemente, a dimostrare che quello vecchio è morto. Mi sembra un'idea eccellente.
Elle.it proprio in questi giorni pubblica un decalogo che invita le aziende ad adottare modelli pubblicitari meno offensivi per le donne. Le idee contenute nel decalogo sono senz'altro giuste, anche se l'atteggiamento impositivo e scolastico insito nel concetto di decalogo è senz'altro meno efficace di un'idea creativa come quella sopra, che passa direttamente all'azione e va dritta a segno.
Non aggiungo ulteriori osservazioni in quanto mi trovo perfettamente in accordo con Valeria Sirabella, autrice dell'articolo pubblicato su Mondodonna ed esprimo i miei più sentiti complimenti ai creativi che hanno studiato la campagna (in fondo le idee made in italy non sono sempre da buttare).
Michele
Sfogliando una rivista mi sono ritrovata a stupirmi davanti alla pubblicità di un marchio di abbigliamento femminile: la vedete qui sopra (il marchio è High, dell'azienda Stefanel).
Trovo che sia davvero innovativa. L'immagine stride fortemente con l'immaginario pubblicitario in cui si inserisce, e ribalta un motivo tradizionale delle pubblicità di moda: l'immagine romantica e bucolica di una lei perfettamente a proprio agio in abiti e scarpe tanto seducenti quanto visibilmente scomodi.
Per dissacrare questo motivo tradizionale, questa pubblicità non si limita a fare la scelta troppo semplice di usare un'immagine opposta, che potrebbe essere ad esempio, che ne so, quella di una ragazza in abiti comodi che ostenta senso di libertà, in stile Nuvenia Pocket.
Prende invece il personaggio tipo di una pubblicità tradizionale, con tutto il suo habitat di prati e fiori, e lo trasferisce in un nuovo mondo in cui può essere se stesso, dimostrare come si sente: ecco che la fanciulla stanca morta si lascia andare, sbadiglia sonoramente e si massaggia i piedi doloranti per via dei tacchi.
Non viene proposto un modello nuovo ma ci si limita, più efficacemente, a dimostrare che quello vecchio è morto. Mi sembra un'idea eccellente.
Elle.it proprio in questi giorni pubblica un decalogo che invita le aziende ad adottare modelli pubblicitari meno offensivi per le donne. Le idee contenute nel decalogo sono senz'altro giuste, anche se l'atteggiamento impositivo e scolastico insito nel concetto di decalogo è senz'altro meno efficace di un'idea creativa come quella sopra, che passa direttamente all'azione e va dritta a segno.
venerdì 6 maggio 2011
QUANDO IL TESTIMONIAL DICE "NO"
Spero che questa vicenda serva da insegnamento per tutte le agenzie/aziende. Scegliere un testimonial soltanto per estetica non può che svilire il ruolo dello stesso e non consente al brand di trarre valore aggiunto. A mio avviso, la scelta del testimonial deve essere ragionata quanto quella del messaggio da comunicare.. se non di più! Michele
Una pastiglia ti fa dimagrire di una taglia ». Era questo il testo che una ditta di prodotti per la cura del corpo aveva proposto a una modella «formosa », la vicentina Elisa D’Ospina. La ventisettenne, però, ha risposto con un secco «no». «Mi sono sempre impegnata - racconta - nel combattere i disturbi alimentari, non mi metto a propagandare prodotti dimagranti. Chi mi ha selezionata ha scelto male». L’indossatrice non ha invece rifiutato un invito di tutt’altro calibro: la partecipazione, prima italiana a farlo, alla «Full fashion figured week», una delle più quotate manifestazioni internazionali dedicate alle misure conformate che si terrà a New York a metà giugno. Lei, taglia 48 che da tempo denuncia il proliferare di siti e blog pro-anoressia e pro-bulimia, andrà negli Stati Uniti per portare anche questo messaggio. Che certo non può accostarsi a quello di un prodotto «perdi peso ». Qualche settimana fa è arrivata alla giovane vicentina, famosa per essere una delle dieci modelle «morbide » d’Italia, il canovaccio dello spot televisivo da imparare per poi partecipare al casting.
«Secondo la scaletta avrei dovuto far vedere che quella pastiglia mi avrebbe fatto perdere una taglia — s p i e g a D’Ospina — provando dei pantaloni sia prima che dopo averla assunta». E così, a corredo della risposta negativa, ha scritto all’agenzia poche ma significative righe: «Vedo che scegliete accuratamente», allegando i documenti del ministero della Salute che nel 2009 l’ha nominata testimonial nazionale per la «Tre giorni della salute». «Mi arrivano richieste strane come questa - commenta la top model taglia 48 - ma non posso prima farmi portavoce dell’accettazione del proprio corpo e poi andare in tv a propagandare un prodotto dimagrante. Ci vuole coerenza in quel che si fa». Comportamento che fa rifiutare anche compensi economici interessanti. «Non avrei accettato nemmeno proposte più alte. Farei volentieri la testimonial di una buona pastasciutta, non delle pastiglie per perdere peso». Intanto, nell'attesa del volo per la «Grande Mela», insieme ad altre modelle del gruppo «Curvy can» («con le curve si può») e ad uno psicologo, D’Ospina va nelle scuole e racconta la sua storia. Quella di una ragazzina di 15 anni a cui è stato proposto di dimagrire molti chili per poter entrare nel mondo della moda. Altro «consiglio » rifiutato.
Fonte: Corriere del Veneto
Una pastiglia ti fa dimagrire di una taglia ». Era questo il testo che una ditta di prodotti per la cura del corpo aveva proposto a una modella «formosa », la vicentina Elisa D’Ospina. La ventisettenne, però, ha risposto con un secco «no». «Mi sono sempre impegnata - racconta - nel combattere i disturbi alimentari, non mi metto a propagandare prodotti dimagranti. Chi mi ha selezionata ha scelto male». L’indossatrice non ha invece rifiutato un invito di tutt’altro calibro: la partecipazione, prima italiana a farlo, alla «Full fashion figured week», una delle più quotate manifestazioni internazionali dedicate alle misure conformate che si terrà a New York a metà giugno. Lei, taglia 48 che da tempo denuncia il proliferare di siti e blog pro-anoressia e pro-bulimia, andrà negli Stati Uniti per portare anche questo messaggio. Che certo non può accostarsi a quello di un prodotto «perdi peso ». Qualche settimana fa è arrivata alla giovane vicentina, famosa per essere una delle dieci modelle «morbide » d’Italia, il canovaccio dello spot televisivo da imparare per poi partecipare al casting.
«Secondo la scaletta avrei dovuto far vedere che quella pastiglia mi avrebbe fatto perdere una taglia — s p i e g a D’Ospina — provando dei pantaloni sia prima che dopo averla assunta». E così, a corredo della risposta negativa, ha scritto all’agenzia poche ma significative righe: «Vedo che scegliete accuratamente», allegando i documenti del ministero della Salute che nel 2009 l’ha nominata testimonial nazionale per la «Tre giorni della salute». «Mi arrivano richieste strane come questa - commenta la top model taglia 48 - ma non posso prima farmi portavoce dell’accettazione del proprio corpo e poi andare in tv a propagandare un prodotto dimagrante. Ci vuole coerenza in quel che si fa». Comportamento che fa rifiutare anche compensi economici interessanti. «Non avrei accettato nemmeno proposte più alte. Farei volentieri la testimonial di una buona pastasciutta, non delle pastiglie per perdere peso». Intanto, nell'attesa del volo per la «Grande Mela», insieme ad altre modelle del gruppo «Curvy can» («con le curve si può») e ad uno psicologo, D’Ospina va nelle scuole e racconta la sua storia. Quella di una ragazzina di 15 anni a cui è stato proposto di dimagrire molti chili per poter entrare nel mondo della moda. Altro «consiglio » rifiutato.
Fonte: Corriere del Veneto
martedì 3 maggio 2011
L'ATTENDIBILITA' DELLE FONTI ONLINE
Vi posto l'estratto di un articolo trovato sul sito della Ferpi in quanto credo che saper pesare le fonti in cui vengono pubblicate notizie o commenti sui nostri prodotti, marchi ecc.. sia un'abilità da sviluppare obbligatoriamente per qualsiasi marketing & communication manager.
Biagio Carrano in questo articolo ci propone quattro parametri guida per le nostre valutazioni.
Michele
Nel web, dove vi sono decine di sollecitazioni quotidiane a diffondere tramite un click fatti o fattoidi, gran parte delle persone opera senza alcuna altra competenza nell’analisi delle fonti che quella acquisita durante le ricerche scolastiche negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza.
Una volta vi erano pochi depositari della conoscenza. Un qualsiasi tema poteva essere esaustivamente affrontato andando in una biblioteca pubblica e affiancando alla Enciclopedia Treccani o alla UTET qualche buon libro di riferimento sull’argomento. Oggi pure Wikipedia, al netto degli errori possibili e delle omissioni inevitabili, è un prodotto che non può esaurire la molteplicità delle pagine web che parlano di un dato argomento. Spesso vi è una necessità di risolvere in tempi brevissimi una necessità informativa e i tempi lunghi giorni o settimane di una ricerca vecchio stile sono un sogno antistress. E poi vi sono le opinioni personali. Un post di un blog può diventare una fonte per una tesi di laurea? Certo che sì, ma quando e sotto quali condizioni? L’idea di autorevolezza che ha il mondo accademico è ben distante da quella che ha il web.
Ecco dunque che l’urgenza presente del web non è quella di dare ulteriori informazioni ma soprattutto aggregatori e riordinatori.
Google non è tanto un motore di ricerca ma un sistema di riordino delle fonti sul web in base al prestigio che lo stesso web riconosce alle singole pagine in funzione dell’algoritmo del Pagerank. Netvibes non solo aggrega i tag e gli rss feed su un determinato argomento ma consente di ridurre enormemente i tempi di monitoraggio del web. Vedere in questa luce tali strumenti dischiude anche nuove modalità di utilizzo del web.
Ma quali sono i principi su cui può basarsi un’attività di riordino delle fonti e della conoscenza sul web?
Mi permetto di indicare quattro parametri:
In un quadro magmatico e cacofonico non sembra oggi emergere un parametro unico, semplificatorio e meccanico per valutare la qualità e l’affidabilità dei contenuti. Le metriche quantitative non dicono nulla perché un hoax può avere milioni di click, di like, di share o di tweet, sia perché chi vi ha cliccato non si poneva una questione di autorevolezza e veridicità sia perché poteva essere visto come un contenuto divertente e virabile. La differenza sostanziale sarà nella capacità dei singoli di reperire sul web e nel mondo tradizionale fonti comparabili e falsificabili (per citare Popper) capaci di avere maggiore forza persuasiva di altre concorrenti
Leggi tutto qui...
Biagio Carrano in questo articolo ci propone quattro parametri guida per le nostre valutazioni.
Michele
Nel web, dove vi sono decine di sollecitazioni quotidiane a diffondere tramite un click fatti o fattoidi, gran parte delle persone opera senza alcuna altra competenza nell’analisi delle fonti che quella acquisita durante le ricerche scolastiche negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza.
Una volta vi erano pochi depositari della conoscenza. Un qualsiasi tema poteva essere esaustivamente affrontato andando in una biblioteca pubblica e affiancando alla Enciclopedia Treccani o alla UTET qualche buon libro di riferimento sull’argomento. Oggi pure Wikipedia, al netto degli errori possibili e delle omissioni inevitabili, è un prodotto che non può esaurire la molteplicità delle pagine web che parlano di un dato argomento. Spesso vi è una necessità di risolvere in tempi brevissimi una necessità informativa e i tempi lunghi giorni o settimane di una ricerca vecchio stile sono un sogno antistress. E poi vi sono le opinioni personali. Un post di un blog può diventare una fonte per una tesi di laurea? Certo che sì, ma quando e sotto quali condizioni? L’idea di autorevolezza che ha il mondo accademico è ben distante da quella che ha il web.
Ecco dunque che l’urgenza presente del web non è quella di dare ulteriori informazioni ma soprattutto aggregatori e riordinatori.
Google non è tanto un motore di ricerca ma un sistema di riordino delle fonti sul web in base al prestigio che lo stesso web riconosce alle singole pagine in funzione dell’algoritmo del Pagerank. Netvibes non solo aggrega i tag e gli rss feed su un determinato argomento ma consente di ridurre enormemente i tempi di monitoraggio del web. Vedere in questa luce tali strumenti dischiude anche nuove modalità di utilizzo del web.
Ma quali sono i principi su cui può basarsi un’attività di riordino delle fonti e della conoscenza sul web?
Mi permetto di indicare quattro parametri:
- profondità, intesa come numerosità delle pagine rilevate
- ampiezza, intesa come molteplicità e diversità delle fonti monitorate
- rilevanza, intesa come importanza relativa rispetto allo scopo della ricerca
- prestigio, intesa come autorevolezza della fonte, sia l’autore che la testata web.
In un quadro magmatico e cacofonico non sembra oggi emergere un parametro unico, semplificatorio e meccanico per valutare la qualità e l’affidabilità dei contenuti. Le metriche quantitative non dicono nulla perché un hoax può avere milioni di click, di like, di share o di tweet, sia perché chi vi ha cliccato non si poneva una questione di autorevolezza e veridicità sia perché poteva essere visto come un contenuto divertente e virabile. La differenza sostanziale sarà nella capacità dei singoli di reperire sul web e nel mondo tradizionale fonti comparabili e falsificabili (per citare Popper) capaci di avere maggiore forza persuasiva di altre concorrenti
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lunedì 2 maggio 2011
TUTTI PAZZI PER MELINDA
E' partita l'ultima fase della campagna digital "Bella Melinda", seguita dalla mia agenzia, che ha coinvolto oltre 500.000 utenti attorno al nuovo divertente jingle.
Michele
E' stato lanciato da pochi giorni in Rete il nuovo web spot "Tutti pazzi per Melinda".
Il filmato è stato creato dalla divisione digital di Soluzione Group, utilizzando i frame dei molti filmati registrati dagli utenti durante il concorso online Bella Melinda.
Il nuovo web spot verrà divulgato attraverso un'attività di buzz marketing su tutti i più importanti blog, forum e social network come ringraziamento a tutti coloro che con la loro voce hanno contribuito a rendere il nuovo jingle "Bella Melinda" un vero e proprio tormentone.
Guarda tutti i video registrati dagli utenti e lascia i tuoi commenti sul canale Youtube Bella Melinda
Michele
E' stato lanciato da pochi giorni in Rete il nuovo web spot "Tutti pazzi per Melinda".
Il filmato è stato creato dalla divisione digital di Soluzione Group, utilizzando i frame dei molti filmati registrati dagli utenti durante il concorso online Bella Melinda.
Il nuovo web spot verrà divulgato attraverso un'attività di buzz marketing su tutti i più importanti blog, forum e social network come ringraziamento a tutti coloro che con la loro voce hanno contribuito a rendere il nuovo jingle "Bella Melinda" un vero e proprio tormentone.
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