Uno stato nazionale, un governo, è – di fatto – un’organizzazione complessa che intrattiene relazioni con decine di migliaia di stakeholder e pubblici influenti. Tra esse hanno un ruolo fondamentale le relazioni internazionali, affidate alle ambasciate e ai consolati e al personale diplomatico. Relazioni che vanno ben oltre i rapporti istituzionali e la rappresentanza in senso stretto. Di fatto i diplomatici svolgono un’azione strutturata di relazioni pubbliche che deve rispondere a politiche ben definite e precise strategie in modo da assicurare un reale dialogo con i pricipali stakeholder di quel Paese estero in cui operano a nome del proprio Stato o Governo.
Ciò presuppone un ripensamento della governance delle strutture diplomatiche e della formazione del personale stesso nell’ottica delle relazioni pubbliche (...)
(...) “Così come per qualsiasi altra organizzazione che vuole rappresentare adeguamente i propri interessi – continua Muzi Falconi – la struttura diplomatica e il proprio personale deve tendere a costruire spazi (reali e virtuali) che permettano agli stakeholder di relazionarsi direttamente tra loro e con l’organizzazione, passare cioè d un’adeguata stakeholder relationship governance. Ciò implica una nuova visione sistemica (organizzativa e sociale) della Public Diplomacy, basata su quegli elementi che ben conosciamo:
- dialogo e comunicazione con i pubblici
- relazioni tendenzialmente simmetriche
- trasferimento di contenuti anzichè di messaggi
- responsabilità (la cultura dell’attuazione anziché quella dell’annuncio: “walk the talk”)
- prevalenza dell’interesse pubblico (sugli interessi sia dell’organizzazione che degli stakeholder)
Secondo questi criteri il valore della Public Diplomacy è determinato dallaqualità (costantemente monitorata) dei sistemi di relazione sviluppati da una organizzazione con i pubblici di altri Paesi”.