Nell’accezione corrente il Marketing è quell’insieme di attività e strumenti finalizzati al posizionamento e alla promozione di un marchio, di un prodotto o di un servizio sul mercato e nei confronti della concorrenza. La definizione di Marketing implica, quindi, l’esistenza di un “mercato” e della “concorrenza”.
In realtà, la globalizzazione e lo sviluppo economico hanno spostato l’asse del mercato dal produttore al consumatore, che è diventato il protagonista assoluto di ogni attività.
Il consumatore è più informato, grazie ad internet, è più smaliziato, ha metabolizzato tutti i trucchi del marketing, è più critico, vuole sempre più valore, è meno fedele: una vita per acquisirlo un secondo per perderlo.
La concorrenza, così come la intendiamo noi, non esiste più.
Oramai anche Davide può competere con Golia, grazie alla tecnologia e ad internet. Non esiste più un vantaggio competitivo ad essere grandi. Neanche la specializzazione in un settore paga come prima. Grazie all’outsourcing qualsiasi piccola azienda può entrare in un segmento di business ed acquisire quote di mercato.
Il vero competitor di una azienda ormai è il consumatore. Per affermarsi sul mercato bisogna fare Marketing “beyond the enemy line” (oltre le linee nemiche) direttamente dal consumatore e con il consumatore.
Bisogna coinvolgerlo ed emozionarlo. Senza emozione non c’è acquisto. L’acquisto razionale (es: compro il pane perchè devo mangiare) non genera più profitti. L’acquisto emozionale è il futuro. Emozionale non vuol dire sensazionale.
Ci vuole la forma, ma anche la sostanza. L’azienda deve fare un patto col consumatore. L’azienda deve rendersi conto che il ritmo del business lo da il consumatore con le sue scelte. Non è una tragedia, anzi. Bisogna solo prenderne atto e comportarsi di conseguenza.
Non esiste una regola aurea per “coinvolgere” il consumatore a casa sua. La premessa ad ogni azione “beyond the enemy line” è il cambiamento dell’impostazione culturale dell’imprenditore, da “dominus” a partner. Bisogna lasciare lo scettro del comando al consumatore, limitandosi a coordinarne i movimenti.
Nell’economia dell’informazione bisogna approfittare di ogni piccola lacuna informativa del consumatore, colmandola con puntualità e correttezza.
Dall’informazione all’azione (acquisto).
Luigi De Falco via Marketing Journal
Fondatore H2biz
lunedì 31 maggio 2010
giovedì 27 maggio 2010
LA "P" MENO USATA NEL MARKETING
Di Cristina Mariani via Mymarketing.net
Sto facendo molta ricerca in questi giorni sul Pricing (= tecniche e strategie di manovra sui prezzi per aumentare gli utili) e mi rendo conto che quest'ultima "P" del Marketing sia davvero una "Cenerentola", trascurata e semisconosciuta, ma in realtà una vera perla.
Uno studio della McKinsey (la più prestigiosa società di consulenza del mondo, quindi non esattamente degli sprovveduti) rivela che, sulla base dei dati raccolti analizzando le più importanti 1200 aziende del mondo, la leva più efficace sugli utili è proprio quella dei prezzi. (Fonte: "The price advantage", Wiley Finance)
In pratica, aumentare i prezzi dell'1% fa crescere i profitti dell'11%.
Tagliare i costi VARIABILI dell'1% fa aumentare gli utili del 7,3%.
Ridurre i costi FISSI dell'1% fa crescere i profitti solo del 2,7%.
Per quanto riguarda il VOLUME, un aumento delle quantità vendute dell'1% (a prezzi e costi unitari costanti) impatta positivamente sui profitti solo del 3,7%.
I dati parlano chiaro: si fa tanta fatica per aumentare le quantità vendute, trovare nuovi clienti, nuovi canali, quando manovrando i prezzi solo dell'1% si otterrebbe un beneficio maggiore.
Tagliare i costi variabili e fissi è una cosa che le aziende negli anni passati hanno già fatto, a volte con dolore, e non è che più di tanto si possa tagliare.
Dunque gestire la leva dei prezzi potrebbe essere una soluzione (molto più efficace di altre) per rimettere a posto bilanci malandati.
Attenzione, manovrare non significa solo semplicemente aumentare: ci sono molte tattiche di pricing (un nuovo manuale appena uscito ne cita diverse decine) che in modo creativo consentono di far leva sui prezzi differenziando i livelli di offerta (differentiating), creando versioni diverse dello stesso prodotto (versioning), aggregando o disaggregando nello stesso prodotto o servizio vari elementi di valore (bundling o unbundling), segmentando più precisamente la clientela, e molte altre.
Non vi viene voglia di saperne di più?
A me sembra un argomento assolutamente affascinante, ma devo constatare che sia poco conosciuto, o sentito. Chiedendo a un'azienda come calcola i prezzi, inevitabilmente risponde: ricaricando i costi (anche se al cliente quanti sono i tuoi costi non importa proprio nulla) oppure facendo riferimento al mercato (anche se non si vende ad un "mercato", ma a singoli clienti che hanno esigenze e caratteristiche diverse l'uno dall'altro).
Non mi risulta che si insegnino tecniche di pricing nelle università. Nelle associazioni di categoria e nel catalogo delle varie società di formazione, neanche…
Perchè? Che ne dite? Avete un'opinione a riguardo?
mercoledì 26 maggio 2010
40 ANNI DI FERPI
di Gianluca Comin
Esattamente 40 anni fa, nel maggio del 1970, nasceva Ferpi dalla fusione di Fierp e Firp, le prime due organizzazioni della nostra professione.
Erano anni di profonde trasformazioni, di cambiamenti, di messa in discussione dei vecchi paradigmi. La diffusione della televisione e dei periodici, che in pochi anni divennero i protagonisti della nuova comunicazione, richiedeva professionalità in grado di gestire l’immagine e di veicolare i messaggi delle imprese e dei loro prodotti al grande pubblico.
Le relazioni pubbliche erano approdate nel nostro Paese nell’immediato dopoguerra e Alvise Barison, che diventerà anche il primo Presidente di Ferpi, ne era stato il precursore. A lui con Lino Cardarelli, Alceo Moretti, Guglielmo Trillo, Giacomina Lapenna, un giovanissimo Attilio Consonni e Gherarda Guastalla Lucchini va il nostro affettuoso saluto. Un ricordo affettuoso anche a Guido de Rossi del Lion Nero, Aldo Chiappe e altri nostri padri che non ci sono più.
I bisogni dei consumatori venivano soddisfatti da un unico medium, da un’unica piattaforma: la televisione, accusata, appena qualche anno dopo, con il processo alla pubblicità prodotto dall’eco del libro I persuasori occulti di Vance Packard.
In quegli anni alcune grandi organizzazioni cominciavano ad istituire le Direzioni Comunicazione: penso all’Olivetti, alla Pirelli, alla Ferrero, alla Esso, alla Rai. Ma la spesa in comunicazione e pubblicità era lo 0,6 del Pil nazionale rispetto all’1,5 della Francia e all’1,9 dell’Inghilterra (Upa su dati Istat, 1976).
La comunicazione delle aziende passava dai quotidiani, dai tantissimi settimanali e periodici, dalle grandi sponsorizzazioni culturali ma era ridotta a mera attività strumentale pensata come servizio a valle di momenti decisionali interni dell’impresa o di altre organizzazioni.
E proprio in quegli anni nacquero iniziative editoriali ancora oggi di primo piano: è il caso di Prima Comunicazione nel 1973, periodico d’informazione interamente dedicato all’editoria, al giornalismo, alla comunicazione d’impresa e dell’Istituto di Formazione in Relazioni Pubbliche che Milano inaugura qualche anno dopo.
Negli anni ’70 dunque le Relazioni pubbliche cominciano ad affermarsi nello scenario italiano, ma sono gli anni ’80 che le consacrano come funzione indispensabile per le imprese.
Dalle attività di relazioni con i media, quella che ancora oggi chiamiamo ufficio stampa, iniziano a farsi largo anche altre attività che ne diventeranno funzioni specialistiche: le relazioni istituzionali, la lobbying con i grandi poteri (governo, banche, associazioni industriali, organismi internazionali, cerimoniale, etc.), le relazioni industriali, le relazioni internazionali.
Un corrispondente dell’epoca di un noto quotidiano – curioso di Rp – oggi tra i più autorevoli rappresentanti della Federazione a livello internazionale nonché Presidente Ferpi dal 2000 al 2003 (Toni Muzi Falconi) – racconta così i comunicologhi dell’epoca:
sono più di un migliaio nel nostro Paese i professionisti delle Rp, in realtà non più di una cinquantina possono essere considerati dei veri e propri esperti in relazioni pubbliche. E i più giovani, vengono relegati in posizioni di secondo piano e ridotti a consulenti aziendali.
Quarant’anni dopo i Relatori pubblici nel nostro Paese sono più di 100.000 e siamo completamente sommersi dalla conoscenza.
Tutti accediamo all’informazione o all’intrattenimento su una pluralità di piatteforme e di mezzi: Tv, Internet, Stampa, Digitale Terrestre, Social Network.
Se diamo uno sguardo ai numeri ci accorgiamo come il web abbia spopolato: siamo oltre 24 milioni a navigare in rete. Scriviamo sui blog, abbiamo un profilo su Fb, votiamo, giudichiamo, sosteniamo politici, prodotti e imprese.
Comunicazione oggi è sinonimo di reputazione, strategia, ricerca del consenso.
Esattamente 40 anni fa, nel maggio del 1970, nasceva Ferpi dalla fusione di Fierp e Firp, le prime due organizzazioni della nostra professione.
Erano anni di profonde trasformazioni, di cambiamenti, di messa in discussione dei vecchi paradigmi. La diffusione della televisione e dei periodici, che in pochi anni divennero i protagonisti della nuova comunicazione, richiedeva professionalità in grado di gestire l’immagine e di veicolare i messaggi delle imprese e dei loro prodotti al grande pubblico.
Le relazioni pubbliche erano approdate nel nostro Paese nell’immediato dopoguerra e Alvise Barison, che diventerà anche il primo Presidente di Ferpi, ne era stato il precursore. A lui con Lino Cardarelli, Alceo Moretti, Guglielmo Trillo, Giacomina Lapenna, un giovanissimo Attilio Consonni e Gherarda Guastalla Lucchini va il nostro affettuoso saluto. Un ricordo affettuoso anche a Guido de Rossi del Lion Nero, Aldo Chiappe e altri nostri padri che non ci sono più.
I bisogni dei consumatori venivano soddisfatti da un unico medium, da un’unica piattaforma: la televisione, accusata, appena qualche anno dopo, con il processo alla pubblicità prodotto dall’eco del libro I persuasori occulti di Vance Packard.
In quegli anni alcune grandi organizzazioni cominciavano ad istituire le Direzioni Comunicazione: penso all’Olivetti, alla Pirelli, alla Ferrero, alla Esso, alla Rai. Ma la spesa in comunicazione e pubblicità era lo 0,6 del Pil nazionale rispetto all’1,5 della Francia e all’1,9 dell’Inghilterra (Upa su dati Istat, 1976).
La comunicazione delle aziende passava dai quotidiani, dai tantissimi settimanali e periodici, dalle grandi sponsorizzazioni culturali ma era ridotta a mera attività strumentale pensata come servizio a valle di momenti decisionali interni dell’impresa o di altre organizzazioni.
E proprio in quegli anni nacquero iniziative editoriali ancora oggi di primo piano: è il caso di Prima Comunicazione nel 1973, periodico d’informazione interamente dedicato all’editoria, al giornalismo, alla comunicazione d’impresa e dell’Istituto di Formazione in Relazioni Pubbliche che Milano inaugura qualche anno dopo.
Negli anni ’70 dunque le Relazioni pubbliche cominciano ad affermarsi nello scenario italiano, ma sono gli anni ’80 che le consacrano come funzione indispensabile per le imprese.
Dalle attività di relazioni con i media, quella che ancora oggi chiamiamo ufficio stampa, iniziano a farsi largo anche altre attività che ne diventeranno funzioni specialistiche: le relazioni istituzionali, la lobbying con i grandi poteri (governo, banche, associazioni industriali, organismi internazionali, cerimoniale, etc.), le relazioni industriali, le relazioni internazionali.
Un corrispondente dell’epoca di un noto quotidiano – curioso di Rp – oggi tra i più autorevoli rappresentanti della Federazione a livello internazionale nonché Presidente Ferpi dal 2000 al 2003 (Toni Muzi Falconi) – racconta così i comunicologhi dell’epoca:
sono più di un migliaio nel nostro Paese i professionisti delle Rp, in realtà non più di una cinquantina possono essere considerati dei veri e propri esperti in relazioni pubbliche. E i più giovani, vengono relegati in posizioni di secondo piano e ridotti a consulenti aziendali.
Quarant’anni dopo i Relatori pubblici nel nostro Paese sono più di 100.000 e siamo completamente sommersi dalla conoscenza.
Tutti accediamo all’informazione o all’intrattenimento su una pluralità di piatteforme e di mezzi: Tv, Internet, Stampa, Digitale Terrestre, Social Network.
Se diamo uno sguardo ai numeri ci accorgiamo come il web abbia spopolato: siamo oltre 24 milioni a navigare in rete. Scriviamo sui blog, abbiamo un profilo su Fb, votiamo, giudichiamo, sosteniamo politici, prodotti e imprese.
Comunicazione oggi è sinonimo di reputazione, strategia, ricerca del consenso.
martedì 25 maggio 2010
LE NUOVE FRONTIERE DEL GREEN MARKETING
Verde, verdissimo, fortissimamente verde. Non è più solo moda di passaggio, né un impegno militante.
Green è d’obbligo per un’economia post-crisi che deve conquistare il consumatore. Il cliente del XXI secolo vuole prodotti sicuri, economici, di aziende fidate con un’impronta ecologica ben definita. La sostenibilità ambientale non è più un affare della borghesia istruita e progressista; sta diventando un affare di tutti. Le indagini di mercato parlano chiaro: il 52% dei consumatori prediligono prodotti di aziende con una forte reputazione verde, il 92,4% degli italiani vuole che non implichino un rapporto predatorio con la terra e il 67% è pronto a “punire” i comportamenti irresponsabili delle aziende. Dati alla mano Lifegate ha lanciato il primo premio “ comunicazione sostenibile” che verrà assegnato il prossimo 26 maggio a chi sa associare all’originalità dell’idea creativa , la “capacità di promuovere un approccio responsabile al consumo”.
E’ qui che sta la sfida del neo-marketing; il must è si ancora oggi assicurare il massimo del profitti ma come spiega Paolo Inghilleri dell’Università di Milano, “ il rapporto uomo natura sta cambiando, è parte del nostro vissuto. Se adotto pratiche a basso impatto ambientale, sento che ho un’etica, che faccio cose concrete che mi fanno star bene”.
“Ecologia e marketing possono remare l’una contro l’altra: una vuole farvi consumare di meno,l’altro di più. Una rifiuta il consumismo, l’altro lo alimenta. Ma non sempre sono in opposizione”, chiarisce il britannico John Grant ideatore del Green Marketing Manifesto: “ Il marketing può contribuire a “vendere” nuovi stili di vita, una funzione quanto mai necessaria oggi di fronte all’urgenza di limitare gli effetti del cambiamento climatico” . La sfida è far recepire al consumatore migliaia di alternative possibili, dai packaging biodegradabili alle auto ibride, fino ad Ariel che chiede ai clienti di non usare la lavatrice sopra i 30° gradi.
“Il marketing riesce molto bene a far apparire normali cose altrimenti troppo nuove e originali per essere accettate. E’ ciò che ha fatto negli ultimi vent’anni con l’informatica. La sfida per i prossimi venti è cavalcare l’onda dell’innovazione tecnologica”.
Qualcuno lo chiama già g-commerce ( come e-commerce ma con la g di green) come ad esempio il mercato dei frigoriferi di classe A o degli alimenti biologici per l’infanzia dove i prodotti sostenibili raggiungono il 60% del volume di vendite. La presa di coscienza del consumatore è lenta ma apre nuovi scenari.
Il riposizionamento verde interessa molto anche i distributori che tendono ormai a privilegiare prodotti locali, i cosiddetti “chilometri zero” o adottando soluzioni architettoniche a basso impatto energetico come pannelli solari sul tetto. La lista è lunga, dalla Coop alla Conad, cui si è aggiunta Wal-Mart, il colosso Usa che nei suoi megastore ha ridotto imballaggi e carburanti fossili aumentando prodotti biologici, introducendo lampadine a basso consumo e perfino dei cactus ad alta resistenza climatica come arbusti decorativi.
“ Parlare di sostenibilità nella comunicazione apre grandi frontiere, ma per ora in Italia riguarda un elitè”, ha ammesso Fabrizio Caprara amministratore delegato di Saatchi& Saatchi ad un recente convegno. Mentre Marco Cremona, direttore creativo McCann Erickson ha rilevato che “molte aziende spesso dimenticano di comunicare al grande pubblico quanto siano già sostenibili; il marketing può assumere diverse gradazioni di verde. Ci sono aziende che incorporano l’ambiente nel loro stesso Dna coma la Timberland, altre condividono le responsabilità come allearsi a Legambiente o WWF come Ferrarelle e Electrolux anche ancora, purtroppo, si limitano a pennellate verde-acqua negli spot pubblicitari”.
Diana de Angelis via NewNotizie
Green è d’obbligo per un’economia post-crisi che deve conquistare il consumatore. Il cliente del XXI secolo vuole prodotti sicuri, economici, di aziende fidate con un’impronta ecologica ben definita. La sostenibilità ambientale non è più un affare della borghesia istruita e progressista; sta diventando un affare di tutti. Le indagini di mercato parlano chiaro: il 52% dei consumatori prediligono prodotti di aziende con una forte reputazione verde, il 92,4% degli italiani vuole che non implichino un rapporto predatorio con la terra e il 67% è pronto a “punire” i comportamenti irresponsabili delle aziende. Dati alla mano Lifegate ha lanciato il primo premio “ comunicazione sostenibile” che verrà assegnato il prossimo 26 maggio a chi sa associare all’originalità dell’idea creativa , la “capacità di promuovere un approccio responsabile al consumo”.
E’ qui che sta la sfida del neo-marketing; il must è si ancora oggi assicurare il massimo del profitti ma come spiega Paolo Inghilleri dell’Università di Milano, “ il rapporto uomo natura sta cambiando, è parte del nostro vissuto. Se adotto pratiche a basso impatto ambientale, sento che ho un’etica, che faccio cose concrete che mi fanno star bene”.
“Ecologia e marketing possono remare l’una contro l’altra: una vuole farvi consumare di meno,l’altro di più. Una rifiuta il consumismo, l’altro lo alimenta. Ma non sempre sono in opposizione”, chiarisce il britannico John Grant ideatore del Green Marketing Manifesto: “ Il marketing può contribuire a “vendere” nuovi stili di vita, una funzione quanto mai necessaria oggi di fronte all’urgenza di limitare gli effetti del cambiamento climatico” . La sfida è far recepire al consumatore migliaia di alternative possibili, dai packaging biodegradabili alle auto ibride, fino ad Ariel che chiede ai clienti di non usare la lavatrice sopra i 30° gradi.
“Il marketing riesce molto bene a far apparire normali cose altrimenti troppo nuove e originali per essere accettate. E’ ciò che ha fatto negli ultimi vent’anni con l’informatica. La sfida per i prossimi venti è cavalcare l’onda dell’innovazione tecnologica”.
Qualcuno lo chiama già g-commerce ( come e-commerce ma con la g di green) come ad esempio il mercato dei frigoriferi di classe A o degli alimenti biologici per l’infanzia dove i prodotti sostenibili raggiungono il 60% del volume di vendite. La presa di coscienza del consumatore è lenta ma apre nuovi scenari.
Il riposizionamento verde interessa molto anche i distributori che tendono ormai a privilegiare prodotti locali, i cosiddetti “chilometri zero” o adottando soluzioni architettoniche a basso impatto energetico come pannelli solari sul tetto. La lista è lunga, dalla Coop alla Conad, cui si è aggiunta Wal-Mart, il colosso Usa che nei suoi megastore ha ridotto imballaggi e carburanti fossili aumentando prodotti biologici, introducendo lampadine a basso consumo e perfino dei cactus ad alta resistenza climatica come arbusti decorativi.
“ Parlare di sostenibilità nella comunicazione apre grandi frontiere, ma per ora in Italia riguarda un elitè”, ha ammesso Fabrizio Caprara amministratore delegato di Saatchi& Saatchi ad un recente convegno. Mentre Marco Cremona, direttore creativo McCann Erickson ha rilevato che “molte aziende spesso dimenticano di comunicare al grande pubblico quanto siano già sostenibili; il marketing può assumere diverse gradazioni di verde. Ci sono aziende che incorporano l’ambiente nel loro stesso Dna coma la Timberland, altre condividono le responsabilità come allearsi a Legambiente o WWF come Ferrarelle e Electrolux anche ancora, purtroppo, si limitano a pennellate verde-acqua negli spot pubblicitari”.
Diana de Angelis via NewNotizie
lunedì 24 maggio 2010
IL FUTURO PROSSIMO DEL MOBILE MARKETING
FONTE: SEOITALY
Dallo schermo verde da pochi pixel il mondo della telefonia ha fatto passi da gigante: nella nostra tasca abbiamo un'agenda, una macchina fotografica, una bussola, uno strumento per navigare le strade con il gps e navigare internet. in Italia e non solo il telefonino è uno dei mezzi di comunicazione più diffusi e come tale è un potente mezzo per fare marketing.
Attualmente ci sono cinque sistemi operativi a farla da padrone: Android, iPhone OS, Symbian, BlackBerry e Windows Mobile, ognuno dei quali offre la possibilità di utilizzare applicazioni di svariato genere, giochi e di navigare il web. Tutto ciò significa che gli spazi dove fare pubblicità sono tanti e interessano un ampio range di utenti, ad esempio vi avevamo anticipato di Apple e dell'idea dell'iAD, un sistema che integra per la prima volta l'advertising nel cuore dell'OS.
Sebbene le statistiche non siano aggiornatissime in Italia la demografia telefonica del 2008 è molto chiara: su una popolazione di 60 milioni ci sono 88 milioni di telefoni cellulari, quindi il 147% (??) della popolazione italiana potrebbe essere raggiunta da una campagna di mobile marketing. Seguendo l'andamento del mercato direi che nel 2010 lo smartphone è forse l'oggetto tecnologico più diffuso in Italia.
Facendo uno studio a livello globale la situazione cambia di poco, il telefonino è molto diffuso anche in paesi come la Germania, la Spagna, l'Olanda e gli Stati Uniti d'America che contano a Dicembre 2009 un 91% di possessori di mobile phone. (fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_number_of_mobile_phones_in_use). Questa statistica andrebbe però raffinata: bisognerebbe iniziare a parlare di smartphone e non solo di mobile phone - lo smartphone per chi non lo sapesse è un telefonino che integra maggiori funzionalità quali e-mail, giochi, sms, messaggistica istantanea, navigazione, foto, calcolatrice, calendario, navigazione gps e web, riconoscimento vocale, news, banking, meteo, finanza e Radio, per citarne alcuni, e monta i sistemi operativi sopra citati, che si stanno sempre più arricchendo come con il neonato MeeGo.
E' chiaro che fare mobile advertising con un Nokia 3310 dotato di schermo a due colori 84x48 è impossibile, stiamo parlando di telefonini che sono dei piccoli computer a prezzi contenuti (per uno smartphone entry-level si parla di una spesa di circa 150€ mentre un top level sulle 600€): questo dato è utile da considerare sull'aumento della diffusione che aggiunto al numero di dispositivi mobile presenti nelle nostre tasche, la sempre maggiore diffusione dovuta anche ai prezzi e le possibilità che offrono questi dispositivi il mobile marketing ha un grande futuro e potenzialità.
Passiamo alla parte pratica: cosa utilizzare per fare mobile marketing?
Servizi di Messaggistica
La prima grande rivoluzione del mondo mobile, i "messaggini", SMS ed MMS. La prima cosa da fare è avere il permesso del cliente per inviargli SMS ed MMS, quindi bisogna che sottoscriva un abbonamento. Il cliente, per esempio, può sottoscriverlo in via telefonica, prendendo i dati in uno spot televisivo, navigando per il web. Un servizio di questo tipo può essere utile per inviare al cliente codici sconto, oppure offerte promozionali.
Versione mobile del sito
Vi sarete accorti che uno stesso sito è visto in maniera diversa a seconda del dispositivo mobile che si usa, ad esempio la versione per WAP (oramai poco utilizzato) sarà a livello testuale, quella mobile avrà risoluzioni basse per essere vista al meglio da schermi piccoli oppure, per chi ha uno smartphone di ultima generazione, vedrà il sito come è abituato sul proprio computer.
Purtroppo in Italia molte realtà sono restie ad internet, quindi convincere a fare anche una versione mobile del proprio sito potrebbe essere un'impresa, ma è molto importante, oggigiorno a dire la verità non è più come per i tempi del WAP che bisognava ricreare quasi completamente un sito limitandosi al lato testuale, con le potenzialità degli smartphone e gli schermi sempre più grandi (sui 3") basta adattare il proprio sito al meglio e cercare si usare standard come html5 che va incontro alla grande massa e porta sicuramente più compatibilità di Flash, usare immagini di adeguata risoluzione e non appesantire troppo il sito, pensando non solo alle capacità di banda di uno smartphone ma anche alle eventuali tariffe per navigare in mobilità.
La versione "lite" del nostro sito pensata per un mobile phone dovrebbe arricchire la navigazione con lo smartphone, magari eliminando materiale superfluo per cercare di massimizzare l'esperienza di chi naviga in mobilità, provare per credere il sito di Delta Airlines. Altrimenti si può pensare in fase di progetto ad un sito duale, cioè che vada bene sia per la navigazione con il computer che con il telefonino.
Applicazioni mobile
Arriveremo ad un punto che ogni azienda avrà la sua applicazione mobile, potrebbero addirittura sostituire il domain name, attualmente un'azienda che usa una mobile application offre un servizio utile ed immediato direttamente sul telefonino. I pro di avere un'applicazione mobile è la semplicità, la possibilità di personalizzarla a seconda di quello che si vuole fare: per esempio un cliente può prenotare un prodotto nel nostro negozio e poi venirlo a ritirare, oppure vedere le offerte o il menù del giorno, usando un nostro servizio possiamo fare advertising a qualche altra nostra società, il tutto con grafica accattivante. Il contro è il numero di sistemi operativi di cui parlavamo in precedenza, chi programma un'applicazioni per Android dovrà poi farne una per iPhone OS e una per Windows Mobile.
Mobile advertising
Portare AdWords e i banner sui piccoli schermi dei telefonini. I banner possono essere messi in applicazioni mobile freeware e non, oppure in fondo ad una schermata di opzioni o una pagina di caricamento di un videogame. Le acquisizioni di AdMob da parte di Google e Quattro da parte di Apple aprono uno scenario nuovo di pubblicità mobile, difficile da spiegare ma facile da capire se si visita il sito di AdMob
Vedendo le vendite e la diffusione di devices mobili bisogna prendere in considerazione seriamente il mobile marketing: viste le ultime mosse di grandi società come Google e Apple è destinato a diventare uno standard per chi fa marketing - tanto vale cominciare subito!
Dallo schermo verde da pochi pixel il mondo della telefonia ha fatto passi da gigante: nella nostra tasca abbiamo un'agenda, una macchina fotografica, una bussola, uno strumento per navigare le strade con il gps e navigare internet. in Italia e non solo il telefonino è uno dei mezzi di comunicazione più diffusi e come tale è un potente mezzo per fare marketing.
Attualmente ci sono cinque sistemi operativi a farla da padrone: Android, iPhone OS, Symbian, BlackBerry e Windows Mobile, ognuno dei quali offre la possibilità di utilizzare applicazioni di svariato genere, giochi e di navigare il web. Tutto ciò significa che gli spazi dove fare pubblicità sono tanti e interessano un ampio range di utenti, ad esempio vi avevamo anticipato di Apple e dell'idea dell'iAD, un sistema che integra per la prima volta l'advertising nel cuore dell'OS.
Sebbene le statistiche non siano aggiornatissime in Italia la demografia telefonica del 2008 è molto chiara: su una popolazione di 60 milioni ci sono 88 milioni di telefoni cellulari, quindi il 147% (??) della popolazione italiana potrebbe essere raggiunta da una campagna di mobile marketing. Seguendo l'andamento del mercato direi che nel 2010 lo smartphone è forse l'oggetto tecnologico più diffuso in Italia.
Facendo uno studio a livello globale la situazione cambia di poco, il telefonino è molto diffuso anche in paesi come la Germania, la Spagna, l'Olanda e gli Stati Uniti d'America che contano a Dicembre 2009 un 91% di possessori di mobile phone. (fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_number_of_mobile_phones_in_use). Questa statistica andrebbe però raffinata: bisognerebbe iniziare a parlare di smartphone e non solo di mobile phone - lo smartphone per chi non lo sapesse è un telefonino che integra maggiori funzionalità quali e-mail, giochi, sms, messaggistica istantanea, navigazione, foto, calcolatrice, calendario, navigazione gps e web, riconoscimento vocale, news, banking, meteo, finanza e Radio, per citarne alcuni, e monta i sistemi operativi sopra citati, che si stanno sempre più arricchendo come con il neonato MeeGo.
E' chiaro che fare mobile advertising con un Nokia 3310 dotato di schermo a due colori 84x48 è impossibile, stiamo parlando di telefonini che sono dei piccoli computer a prezzi contenuti (per uno smartphone entry-level si parla di una spesa di circa 150€ mentre un top level sulle 600€): questo dato è utile da considerare sull'aumento della diffusione che aggiunto al numero di dispositivi mobile presenti nelle nostre tasche, la sempre maggiore diffusione dovuta anche ai prezzi e le possibilità che offrono questi dispositivi il mobile marketing ha un grande futuro e potenzialità.
Passiamo alla parte pratica: cosa utilizzare per fare mobile marketing?
Servizi di Messaggistica
La prima grande rivoluzione del mondo mobile, i "messaggini", SMS ed MMS. La prima cosa da fare è avere il permesso del cliente per inviargli SMS ed MMS, quindi bisogna che sottoscriva un abbonamento. Il cliente, per esempio, può sottoscriverlo in via telefonica, prendendo i dati in uno spot televisivo, navigando per il web. Un servizio di questo tipo può essere utile per inviare al cliente codici sconto, oppure offerte promozionali.
Versione mobile del sito
Vi sarete accorti che uno stesso sito è visto in maniera diversa a seconda del dispositivo mobile che si usa, ad esempio la versione per WAP (oramai poco utilizzato) sarà a livello testuale, quella mobile avrà risoluzioni basse per essere vista al meglio da schermi piccoli oppure, per chi ha uno smartphone di ultima generazione, vedrà il sito come è abituato sul proprio computer.
Purtroppo in Italia molte realtà sono restie ad internet, quindi convincere a fare anche una versione mobile del proprio sito potrebbe essere un'impresa, ma è molto importante, oggigiorno a dire la verità non è più come per i tempi del WAP che bisognava ricreare quasi completamente un sito limitandosi al lato testuale, con le potenzialità degli smartphone e gli schermi sempre più grandi (sui 3") basta adattare il proprio sito al meglio e cercare si usare standard come html5 che va incontro alla grande massa e porta sicuramente più compatibilità di Flash, usare immagini di adeguata risoluzione e non appesantire troppo il sito, pensando non solo alle capacità di banda di uno smartphone ma anche alle eventuali tariffe per navigare in mobilità.
La versione "lite" del nostro sito pensata per un mobile phone dovrebbe arricchire la navigazione con lo smartphone, magari eliminando materiale superfluo per cercare di massimizzare l'esperienza di chi naviga in mobilità, provare per credere il sito di Delta Airlines. Altrimenti si può pensare in fase di progetto ad un sito duale, cioè che vada bene sia per la navigazione con il computer che con il telefonino.
Applicazioni mobile
Arriveremo ad un punto che ogni azienda avrà la sua applicazione mobile, potrebbero addirittura sostituire il domain name, attualmente un'azienda che usa una mobile application offre un servizio utile ed immediato direttamente sul telefonino. I pro di avere un'applicazione mobile è la semplicità, la possibilità di personalizzarla a seconda di quello che si vuole fare: per esempio un cliente può prenotare un prodotto nel nostro negozio e poi venirlo a ritirare, oppure vedere le offerte o il menù del giorno, usando un nostro servizio possiamo fare advertising a qualche altra nostra società, il tutto con grafica accattivante. Il contro è il numero di sistemi operativi di cui parlavamo in precedenza, chi programma un'applicazioni per Android dovrà poi farne una per iPhone OS e una per Windows Mobile.
Mobile advertising
Portare AdWords e i banner sui piccoli schermi dei telefonini. I banner possono essere messi in applicazioni mobile freeware e non, oppure in fondo ad una schermata di opzioni o una pagina di caricamento di un videogame. Le acquisizioni di AdMob da parte di Google e Quattro da parte di Apple aprono uno scenario nuovo di pubblicità mobile, difficile da spiegare ma facile da capire se si visita il sito di AdMob
Vedendo le vendite e la diffusione di devices mobili bisogna prendere in considerazione seriamente il mobile marketing: viste le ultime mosse di grandi società come Google e Apple è destinato a diventare uno standard per chi fa marketing - tanto vale cominciare subito!
mercoledì 19 maggio 2010
CINQUE ERRORI NEL SOCIAL MEDIA MARKETING
Fare social media marketing sembra molto semplice: basta scrivere qualche post ogni tanto, farsi un po' di amicizie (magari comprandone qualcuna, sono pure in vendita...) e creare qualche messaggino su Twitter. Sbagliato! L'unica cosa semplice, nel social media marketing, è perdere del tempo e sprecare risorse e soldi: senza una strategia precisa e definita la cosa più facile è proprio questa... Vediamo allora cinque segnali evidenti che la nostra presenza sui social media non sta andando come dovrebbe.
Mancanza di "focus" sui principali social network
Ci sono letteralmente centinaia (se non migliaia: basta partire da servizi come Know'em per trovarne quanti ne vogliamo) di social network, siti di social bookmarking e quant'altro "social" oggi ci si possa immaginare: è innegabile però che i "re" in questo settore sono Facebook e Twitter. Prima di andare a cercare le ultime novità è dunque importante focalizzare la nostra attenzione sui due principali social network, ottimizzare i nostri sforzi e creare un metodo di lavoro. Solo dopo ci si potrà dedicare ad espandere il nostro "mercato" e a trovare altri siti dove replicare
Assenza di responsabilità e ruoli chiari
Come per ogni attività aziendale strutturata è necessario individuare chi ne è il responsabile e definire in maniera chiara quali sono i ruoli e compiti a cui ognuno deve assolvere. Lasciare che la nostra strategia di social media marketing "si faccia da sola" e sia abbandonata all'iniziativa di ogni singolo che ha qualcosa da scrivere sul nostro wall di Facebook o sul nostro profilo di Twitter vuol dire (al meglio) sprecare risorse, nella peggiore delle ipotesi fare figuracce da cui è difficile riprendersi
Il social media marketing non è pianificato nelle attività quotidiane
Il social media marketing non è un "hobby" o un divertimento (cioè, lo può e deve essere per quanto riguarda l'atteggiamento personale, non lo deve essere per la mancanza di professionalità): devono essere aggiunte alla lista dei "todo" quotidiani tutte le operazioni che riguardano il mantenimento dei nostri profili e l'engagement con gli utenti - tutti i santi giorni.
Non c'è misurazione dei risultati
Procedere senza misurare i risultati che si raggiungono è come navigare in mezzo al mare senza bussola: può darsi che si arrivi dove si sperava di arrivare ma è molto più probabile perdersi tra le onde. Sebbene non sia molto facile individuare i parametri con cui misurare i nostri sforzi di social media marketing è essenziale individuarli ad inizio campagna e monitorarli costantemente
Manca la strategia (!!)
Se leggendo questo articolo vi state domandando "il mio business (qualunque cosa sia: un blog, un sito personale, il sito aziendale, un negozio di ecommerce, ...) ha una strategia nel social media marketing?" vuol dire che probabilmente non ce l'avete. Come dicevamo all'inizio creare una fan page su Facebook o registrarsi su Twitter è semplicissimo - saperli usare bene è tutto un altro discorso. Pensatela così: se dovessi spiegare a qualcuno che ne capisce poco di social media, di marketing e di Internet in generale (persona a cui dunque devo spiegare bene e in maniera chiara le cose) che cosa sto facendo su Facebook, Twitter e compagnia cantando, sarei in grado di farlo? Se la risposta è NO - è ora di tornare al tavolo da disegno...
FONTE: Seoitaly
Mancanza di "focus" sui principali social network
Ci sono letteralmente centinaia (se non migliaia: basta partire da servizi come Know'em per trovarne quanti ne vogliamo) di social network, siti di social bookmarking e quant'altro "social" oggi ci si possa immaginare: è innegabile però che i "re" in questo settore sono Facebook e Twitter. Prima di andare a cercare le ultime novità è dunque importante focalizzare la nostra attenzione sui due principali social network, ottimizzare i nostri sforzi e creare un metodo di lavoro. Solo dopo ci si potrà dedicare ad espandere il nostro "mercato" e a trovare altri siti dove replicare
Assenza di responsabilità e ruoli chiari
Come per ogni attività aziendale strutturata è necessario individuare chi ne è il responsabile e definire in maniera chiara quali sono i ruoli e compiti a cui ognuno deve assolvere. Lasciare che la nostra strategia di social media marketing "si faccia da sola" e sia abbandonata all'iniziativa di ogni singolo che ha qualcosa da scrivere sul nostro wall di Facebook o sul nostro profilo di Twitter vuol dire (al meglio) sprecare risorse, nella peggiore delle ipotesi fare figuracce da cui è difficile riprendersi
Il social media marketing non è pianificato nelle attività quotidiane
Il social media marketing non è un "hobby" o un divertimento (cioè, lo può e deve essere per quanto riguarda l'atteggiamento personale, non lo deve essere per la mancanza di professionalità): devono essere aggiunte alla lista dei "todo" quotidiani tutte le operazioni che riguardano il mantenimento dei nostri profili e l'engagement con gli utenti - tutti i santi giorni.
Non c'è misurazione dei risultati
Procedere senza misurare i risultati che si raggiungono è come navigare in mezzo al mare senza bussola: può darsi che si arrivi dove si sperava di arrivare ma è molto più probabile perdersi tra le onde. Sebbene non sia molto facile individuare i parametri con cui misurare i nostri sforzi di social media marketing è essenziale individuarli ad inizio campagna e monitorarli costantemente
Manca la strategia (!!)
Se leggendo questo articolo vi state domandando "il mio business (qualunque cosa sia: un blog, un sito personale, il sito aziendale, un negozio di ecommerce, ...) ha una strategia nel social media marketing?" vuol dire che probabilmente non ce l'avete. Come dicevamo all'inizio creare una fan page su Facebook o registrarsi su Twitter è semplicissimo - saperli usare bene è tutto un altro discorso. Pensatela così: se dovessi spiegare a qualcuno che ne capisce poco di social media, di marketing e di Internet in generale (persona a cui dunque devo spiegare bene e in maniera chiara le cose) che cosa sto facendo su Facebook, Twitter e compagnia cantando, sarei in grado di farlo? Se la risposta è NO - è ora di tornare al tavolo da disegno...
FONTE: Seoitaly
martedì 18 maggio 2010
CORSO DI SPECIALIZZAZIONE IN SOCIAL MEDIA MARKETING
Vi segnalo l'ennesima iniziativa speciale della Ninja Academy sia per la qualità del contentuo proposto sia per le modalità di divulgazione dello stesso...
Maggiori informazioni le potete trovare a questo link:
http://formazione.ninjamarketing.it/social-media-marketing/
Maggiori informazioni le potete trovare a questo link:
http://formazione.ninjamarketing.it/social-media-marketing/
lunedì 17 maggio 2010
PATATINE ALLA FERMATA DEL BUS
Divertente campagna di marketing esperienziale, ideata dall’agenzia Gewista per far provare ai passanti, in una fredda giornata di primavera viennese, le nuove patatine di Kelly, che si preparano velocemente al microonde.
Particolarmente interessante è la scelta strategica del non luogo, la fermata di un tram attrezzata con un forno a microonde nel billboard.
Particolarmente interessante è la scelta strategica del non luogo, la fermata di un tram attrezzata con un forno a microonde nel billboard.
FONTE: Ninjamarketing
venerdì 14 maggio 2010
IL CINEMARKETING
OPUS E, la Business Unit di OPUS che si occupa delle attività below the line della società, ha studiato le opportunità offerte dai multiplex per proporre alle aziende un modo innovativo di creare engagement con i consumatori, grazie all’unicità garantita dagli accordi di esclusiva pluriennale con i due più importanti player del settore: The Space e UCI Cinema, che rappresentano oltre il 50% del mercato con oltre 30 milioni di spettatori all’anno. I multiplex, che in meno di dieci anni sono stati in grado di evolvere il concetto di cinema da semplice luogo di “evasione” a media interattivo, consentono alle aziende di sviluppare una comunicazione integrata sfruttando l’ampiezza degli spazi e l’omogeneità dell’ambiente.
Grazie alle azioni di cinemarketing OPUS E riesce a raggiungere il pubblico, stupendolo e ”ingaggiandolo” anche attraverso stimoli polisensoriali.
In questi nuovi luoghi di aggregazione multimediale è possibile fissare il ricordo di una marca, grazie alle emozioni che gli spettatori vivono durante i momenti di intrattenimento.
Come?
Tre sono i fattori che determinano l’alta efficacia dei messaggi veicolati dalle aziende: l’esperienza vissuta da chi va al cinema, il divertimento offerto e le emozioni suscitate dal momento di ingresso nel foyer alla uscita dalla sala.
Questo consente alle aziende che decidono di comunicare attraverso il cinemarketing di fissare un ricordo memorabile del proprio brand, massimizzando il coinvolgimento attraverso la stimolazione dei sensi e dei fattori emotivi degli spettatori.
Il cinema è svago, divertimento, emozione, intrattenimento, una magia unica che tocca i cinque sensi: vista, udito, olfatto, tatto e gusto.
“Chi va al cinema è maggiormente predisposto a raccogliere stimoli visivi e di ogni altro genere, perché vive un momento di relax e di svago” commenta Massimiliano Langs, Direttore Generale di OPUS “ecco perché siamo i primi ad aver introdotto in Italia il cinemarketing, che crediamo rappresenti una nuova e più efficace frontiera del marketing in grado di indirizzare ogni singola attività di comunicazione verso un target segmentato e più specifico.
“A supporto di questa strategia abbiamo deciso di potenziare la nostra struttura avvalendoci della professionalità di Enrico Majer, General Manager della nuova business Unit OPUS E”.
“Crediamo fortemente nelle potenzialità offerte dal cinemarketing” - commenta Enrico Majer - “per questa ragione OPUS E, oltre a sviluppare innovative soluzioni che soddisfino sempre più la richiesta dei clienti, sta studiando sistemi per la valutazione puntuale delle redemption delle proprie attività, affinché sia possibile una misurazione efficace degli strumenti messi a disposizione delle aziende”.
FONTE www.marketingjournal.it
giovedì 13 maggio 2010
I DATI ASSOREL SUL MERCATO DELLE RP NEL 2009
Il mercato delle Relazioni Pubbliche si confronta con la recessione ma conferma il proprio giro d’affari.
* Sostanzialmente stabile il mercato delle Relazioni Pubbliche rappresentato dalle agenzie associate Assorel, il cui il fatturato onorari si contrae dell’1 % nel 2009, nonostante l’anno di crisi.
* Prevalenza di ottimismo nelle previsioni di andamento per il 2010.
* Bene Largo Consumo, Distribuzione e Farmaceutici.
* Crisis Management in crescita a conferma del momento recessivo.
La stagnazione dei mercati e dell’economia, che ha prodotto consistenti decrementi nel mercato della Comunicazione, ha avuto un impatto molto contenuto sul mercato delle Relazioni Pubbliche, secondo la consueta Indagine che Assorel sviluppa annualmente, sviluppata grazie al contributo delle società associate.
Un decremento del -1%, nel 2009 verso il 2008 che fa registrare un contenuto arretramento dopo sei anni consecutivi di crescita.
Disomogenee ma improntate ad un sostanziale ottimismo le previsioni di andamento per il 2010 che portano ad un ipotesi di mercato in contenuta sviluppo.
Il 50% delle agenzie ritiene che vi sarà un incremento del settore, nell’ordine del +2/+5% mentre il 24% prevede un mercato stabile con il restante 26% che indica invece un’ulteriore riduzione per le Relazioni Pubbliche.
“E’ la conferma delle previsioni che l’Associazione aveva diramato un anno fa, ha dichiarato Beppe Facchetti - Presidente Assorel, un risultato che considero positivo se confrontato con gli andamenti dell’intero comparto che hanno registrato anche decrementi a “due cifre”; ancor più mi conforta la previsione per il 2010 che dovrebbe segnare un altro passo in avanti del settore che,non dimentichiamo, cresceva ininterrottamente da sei anni. E’ un impegno anche per Assorel e per tutti i professionisti che ne fanno parte per elevare ulteriormente la qualità del proprio lavoro per proporre quel valore aggiunto che gli utenti si aspettano e che le Relazioni Pubbliche sono in grado di offrire.”
Per quanto riguarda la suddivisione delle Aree professionali, si ribadisce la concentrazione sulle Media Relations, la Comunicazione di Prodotto e Istituzionale, mentre, a conferma della recessione in atto, cresce il segmento del Crisis Management.
Maggiore dinamica nella ripartizione del business per i settori merceologici, con positivo andamento del Largo Consumo mentre si contraggono la Finanza e Assicurazioni, i Servizi e l’High-Tech.
Fonte: www.assorel.it
mercoledì 12 maggio 2010
UN VERO TALENTO UNCONVENTIONAL
Chiedo scusa ai miei lettori se oggi mi permetto di divagare dai soliti approfondimenti, ma il video che vi segnalo è qualcosa di veramente incredibile. Si tratta di una clip riassuntiva delle idee decisamente unconventional di Remi Gaillard...
Non c'è che dire.. un vero talento!
Buona visione.
Non c'è che dire.. un vero talento!
Buona visione.
martedì 11 maggio 2010
CAMMINARE SULLE ACQUE: REALTA' O VIRAL MARKETING?
Sta spopolando in YouTube un video dove alcuni ragazzi, con un abbigliamento da sub che comprende anche speciali calzature, provano a correre su uno specchio d’acqua sfruttando i principi, ormai assodati, che permettono di lanciare un sasso su uno specchio d’acqua facendogli compiere diversi rimbalzi prima di inabbissarsi.
Nel video si vede quasi la stessa cosa, coi ragazzi che prendono velocità sulla terra ferma, continuando per qualche metro sullo specchio d’acqua, fino a a finire inevitabilmente giù.
Nel video viene data più di una dimostrazione di quello che i ragazzi propongono come un nuovo sport, chiamato Liquid Mountanering, che viene promosso anche in un blog dedicato. Da quanto si può vedere, il video non sembra contraffatto e i ragazzi sembrano davvero camminare sulle acque, o meglio, correre.
La velocità permette infatti, per alcuni metri (in alcuni casi anche molto meno, per la verità), di riuscire quasi a rimanere a livello dell’acqua e questo anche grazie allo sfruttamento di abiti idrorepellenti, in particolare per quanto riguarda le calzature, come mostrato chiaramente nel video presente in YouTube, spesso fonte di autentiche chicche.
Le imprese mostrate oscillano tra l’incredibile e il ridicolo (c’è chi riesce a “camminare” per non più che pochi centimetri), ma sembrano autentiche. Al momento, non ci sono elementi che lasciano pensare che il video non sia altro che una divertente operazione di viral marketing, come se ne sono viste molte di recente. In attesa di maggiori informazioni, non resta che godersi il filmato e magari provare a emulare le gesta dei ragazzi!
FONTE: www.trackback.it
Nel video si vede quasi la stessa cosa, coi ragazzi che prendono velocità sulla terra ferma, continuando per qualche metro sullo specchio d’acqua, fino a a finire inevitabilmente giù.
Nel video viene data più di una dimostrazione di quello che i ragazzi propongono come un nuovo sport, chiamato Liquid Mountanering, che viene promosso anche in un blog dedicato. Da quanto si può vedere, il video non sembra contraffatto e i ragazzi sembrano davvero camminare sulle acque, o meglio, correre.
La velocità permette infatti, per alcuni metri (in alcuni casi anche molto meno, per la verità), di riuscire quasi a rimanere a livello dell’acqua e questo anche grazie allo sfruttamento di abiti idrorepellenti, in particolare per quanto riguarda le calzature, come mostrato chiaramente nel video presente in YouTube, spesso fonte di autentiche chicche.
Le imprese mostrate oscillano tra l’incredibile e il ridicolo (c’è chi riesce a “camminare” per non più che pochi centimetri), ma sembrano autentiche. Al momento, non ci sono elementi che lasciano pensare che il video non sia altro che una divertente operazione di viral marketing, come se ne sono viste molte di recente. In attesa di maggiori informazioni, non resta che godersi il filmato e magari provare a emulare le gesta dei ragazzi!
FONTE: www.trackback.it
lunedì 10 maggio 2010
LA COMUNICAZIONE AZIENDALE COME CONVERSAZIONE
Un posto dove esserci, per tutti coloro che si occupano di comunicazione aziendale, era la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano in questi giorni, dal 4 al 6 febbraio: erano i giorni della selezione italiana del WIF ma soprattutto di DUE.1: un festival fatto di convegni, workshops, barcamps per approfondire i significati e le implicazioni del digitale nella nostra vita quotidiana e nelle nostre aziende. E infatti D.U.E. sta per Digital User Experience, ma sta anche per il numero 2, il numero minimo della comunicazione. Bisogna essere almeno in due per comunicare, e per mettere in relazione questi due poli serve una relazione, un’interfaccia, un momento o strumento di socializzazione. Il risultato è la conversazione, la condivisione, il contenuto generato dagli utenti, il sovvertimento dei concetti gerarchici in cui il mondo del business è cresciuto per decenni (per secoli?) fino all’altro ieri.
Merita allora un plauso Nel segno dell’8, capitanata dal socio Adico Stefano Saladino, che ha concepito e organizzato questa rara e meritoria iniziativa per sviluppare un po’ la conoscenza e la competenza in tema di applicazioni del digitale anche dalle nostre parti. Azzeccatissima anche la sede: respirare un po’ d’aria di campus dovrebbe essere obbligatorio con cadenza almeno semestrale, è roba che fa bene alla salute dei manager e relative aziende.
Si sono fatti tanti “discorsi”, in questi giorni, riflessioni che urgono perché, come rileva un signore molto più autorevole di me nel suo blog va curata con nuova attenzione l’interfaccia di questo crescente dialogo, in quanto “l’era della comunicazione megafono, quella che punta solo sul volume di voce” volge ormai al termine. Interfaccia intesa nel suo senso originario, più tecnico, ma anche in senso lato: si è discusso anche di overload di informazioni, di orientamento nello e di gestione dello sterminato universo digitale. E a questo proposito, guarda un po’ che cosa capita di trovare, proprio nei giorni di DUE.1, sulle pagine di MasterNewMedia: Howard Rheingold che reinventa la definizione di digital divide: “Sono sempre più convinto che il digital divide non riguarda più tanto l’accesso alla tecnologia quanto la differenza tra quelli che sanno come fare e quelli che non lo sanno (…) Come usare la tecnologia e come usare il cervello con la tecnologia”.
FONTE: adicoblog
venerdì 7 maggio 2010
TWITTERVILLE. BUSINESS E SOCIAL MARKETING
VI SEGNALO UN LIBRO INTERESSANTE...
Far crescere il business nel vicinato globale
Guadagnati fiducia, stringi amicizie e fai il tuo business nella più grande piccola città del mondo. La grande città online di Twitterville è abitata da milioni di persone, in particolare professionisti, che “chiacchierano” di ciò che fanno, pensano, vedono, proprio come lo farebbero faccia a faccia in un quartiere familiare.
Twitter, dall’inglese to tweet “cinguettare“, è lo strumento di comunicazione adottato più rapidamente nella storia: grazie al passaparola e alla semplicità d’uso, è passato nel mondo da zero a 10 milioni di utenti in due anni diventando una realtà che le imprese non possono più ignorare.
Shel Israel racconta come è nata e come funziona questa grande comunità online di “microblog” e offre consigli e suggerimenti su come utilizzarla per i propri obiettivi aziendali. Il libro è ricco di case study – da grandi aziende come Dell e Comcast a piccoli imprenditori e professionisti – che insegnano a incrementare la propria visibilità, aumentare le vendite e offrire un migliore servizio clienti. Tutto grazie a Twitter.
Shel Israel, giornalista di social media e speaker, è uno dei maggiori esperti mondiali di web 2.0. È stato collaboratore di FastCompany.com, Business Week.come The Dow Jones Company. È coautore con Robert Scoble di Naked conversations (tr. it. Business blog, 2007), il primo e più apprezzato libro sul corporate blogging.
FONTE: BeMarketer
Far crescere il business nel vicinato globale
Guadagnati fiducia, stringi amicizie e fai il tuo business nella più grande piccola città del mondo. La grande città online di Twitterville è abitata da milioni di persone, in particolare professionisti, che “chiacchierano” di ciò che fanno, pensano, vedono, proprio come lo farebbero faccia a faccia in un quartiere familiare.
Twitter, dall’inglese to tweet “cinguettare“, è lo strumento di comunicazione adottato più rapidamente nella storia: grazie al passaparola e alla semplicità d’uso, è passato nel mondo da zero a 10 milioni di utenti in due anni diventando una realtà che le imprese non possono più ignorare.
Shel Israel racconta come è nata e come funziona questa grande comunità online di “microblog” e offre consigli e suggerimenti su come utilizzarla per i propri obiettivi aziendali. Il libro è ricco di case study – da grandi aziende come Dell e Comcast a piccoli imprenditori e professionisti – che insegnano a incrementare la propria visibilità, aumentare le vendite e offrire un migliore servizio clienti. Tutto grazie a Twitter.
Shel Israel, giornalista di social media e speaker, è uno dei maggiori esperti mondiali di web 2.0. È stato collaboratore di FastCompany.com, Business Week.come The Dow Jones Company. È coautore con Robert Scoble di Naked conversations (tr. it. Business blog, 2007), il primo e più apprezzato libro sul corporate blogging.
FONTE: BeMarketer
mercoledì 5 maggio 2010
GURU E STREET ART A MILANO
Lamine di metallo come pareti di cemento, per dar sfogo alla creatività. È questa la nuova, irriverente provocazione che ha lanciato il marchio Guru, trasformando in allegri murales tre tram della flotta ATM di Milano, in circolazione da aprile per tre mesi. Nell’ambito della nuova campagna di comunicazione, che punta sui valori di divertimento e libertà, il brand della margherita decide di promuovere l’arte di strada, in quanto forma di comunicazione spontanea e anticonvenzionale. Nasce così il progetto LOVE ART. LIVE GURU, che vede come protagonista lo street artist milanese Pao per dipingere, con il suo inconfondibile tratto, non il solito muro cittadino ma bensì tre mezzi pubblici urbani, con lo scopo di portare una ventata di colore e allegria tra le strade di Milano. Famoso per aver trasformato i grigi panettoni spartitraffico in coloratissimi pinguini metropolitani, che gli sono valsi una salatissima multa dal Comune di Milano, Pao ha trasformato per Guru tre storici tram in maxi-cartoon, disegnando sui loro musi divertenti facce sorridenti. Un’inedita scenografia d’ispirazione anni ‘60, popolata da piante, fiori e animali, dove spicca l’immancabile margherita declinata in mille colori, simbolo del brand ed omaggio all’arrivo della primavera. Un modo colorato e giocoso, che Guru ha voluto offrire ad una vasta platea urbana, composta soprattutto da giovani, per condividere con loro quella creatività e quello spirito ironico, che da sempre rappresentano l’ispirazione del marchio. LOVE ART. LIVE GURU conferma l’impegno di Guru nel sostenere il talento dei nuovi artisti, facendosi promotrice di una concezione di arte libera e accessibile, con il desiderio di avvicinare l’universo dei giovani all’arte.
FONTE: www.trafter.it
FONTE: www.trafter.it
lunedì 3 maggio 2010
IDENTIKIT DI CHI INVESTE IN TV
Mostrami lo spot e ti dirò chi sei…
A forza di leggere post, idee e teorie sulle incredibili potenzialità che la Rete offre alle persone e alle aziende temo di aver trascurato una mia vecchia passione.. la TV! Così, in questi giorni ho provato ad accenderla (qualcuno sa come si usano questi nuovi telecomandi?) ed osservare se, tra i numerosi consigli per gli acquisti (alla faccia della crisi), i soliti noti fossero ancora presenti o se fossero fuggiti innalzando i vessilli del web 2.0.
Dopo un po’ di sano zapping mi sono accorto di una cosa curiosa. A pensarci bene è possibile suddividere gli investitori in 5 categorie:
1. CHI L’HA VISTO?
A questa categoria appartengono tutte quelle aziende che non solo si lanciano nell’affollamento televisivo senza un budget adeguato ma che, aimè, non utilizzano nemmeno il paracadute della originalità e fantasia creativa.
2. CHISSENEFREGA DEL PRODOTTO, L’IMPORTANTE E’ IL TESTIMONIAL.
2. CHISSENEFREGA DEL PRODOTTO, L’IMPORTANTE E’ IL TESTIMONIAL.
Ovviamente mi riferisco principalmente al mondo della telefonia. Sfido chiunque a ricordarsi il nome o le caratteristiche di questa o quella tariffa! Sulla telefonia e sulla loro generica incapacità di passare da brand a lovemark avrei molto da dire.. ma rimando lo sfogo alla prossima puntata.
3. BELLO LO SPOT, MA CHE MARCA ERA?
Questa è la mia categoria “preferita”. Qui dentro possiamo metterci tutte quelle aziende che trascinate dall’entusiasmo dei creativi permettono che il loro prodotto e/o brand venga fagocitato da una creatività forse troppo o troppo poco “pop” ottenendo così un sacco di complimenti e poco altro. Tra i capofila di questa categoria c’è sicuramente un vecchio spot di non mi ricordo chi, in cui una donna diceva “adesso esco e vado con il primo che incontro” e dal piano di sotto un inquilino del palazzo si presentava fuori dalla porta e con un bel sorriso di ordinanza pronunciava il tormentone: “Buuoonaseeeraaaa.”
4. E SE CAMBIASSIMO LO SPOT?
Appartengono a questa famiglia le aziende nostalgiche quelle legate alla tradizione e ad un posizionamento scalfito ormai nella memoria di almeno tre generazioni. Il tango della Vecchia Romagna, i tre amici dell’amaro Montenegro, l’inconfondibile stile retrò della Cedrata Tassoni sono solo alcuni esempi di come, nel bene o nel male, di questi spot non ci libereremo mai.
5. POCHI SOLDI MA GRANDI IDEE
Credo che questa sia la categoria più ambita, fatta da aziende che pur non avendo o non volendo disporre di grandi risorse economiche riescono con una pianificazione intelligente e/o una creatività efficace ad ottimizzare al meglio il proprio investimento ritagliandosi uno spazio significativo nella memoria di marca di noi consumatori.
Ai margini di questa classificazione è infine doveroso ricordare quei brand che hanno fatto la storia della tv italiana ma che senza far troppo rumore si sono piano piano defilati dalla nostra quotidianità, anche se temo non si tratti solo di una scelta strategica. (Vallespluga? Palmera? Se ci siete battete un colpo!)
Vi lascio con una domanda. Se voi foste responsabili comunicazione di un’azienda che vuole investire sul proprio brand, che si rivolge ad un target medio ed eterogeneo ma che non dispone di una memoria di marca significativa nella mente dei consumatori, dovendo fare una scelta, ve la sentireste di sacrificare la pubblicità televisiva in nome di una strategia di social media marketing?
Michele Rinaldi
3. BELLO LO SPOT, MA CHE MARCA ERA?
Questa è la mia categoria “preferita”. Qui dentro possiamo metterci tutte quelle aziende che trascinate dall’entusiasmo dei creativi permettono che il loro prodotto e/o brand venga fagocitato da una creatività forse troppo o troppo poco “pop” ottenendo così un sacco di complimenti e poco altro. Tra i capofila di questa categoria c’è sicuramente un vecchio spot di non mi ricordo chi, in cui una donna diceva “adesso esco e vado con il primo che incontro” e dal piano di sotto un inquilino del palazzo si presentava fuori dalla porta e con un bel sorriso di ordinanza pronunciava il tormentone: “Buuoonaseeeraaaa.”
4. E SE CAMBIASSIMO LO SPOT?
Appartengono a questa famiglia le aziende nostalgiche quelle legate alla tradizione e ad un posizionamento scalfito ormai nella memoria di almeno tre generazioni. Il tango della Vecchia Romagna, i tre amici dell’amaro Montenegro, l’inconfondibile stile retrò della Cedrata Tassoni sono solo alcuni esempi di come, nel bene o nel male, di questi spot non ci libereremo mai.
5. POCHI SOLDI MA GRANDI IDEE
Credo che questa sia la categoria più ambita, fatta da aziende che pur non avendo o non volendo disporre di grandi risorse economiche riescono con una pianificazione intelligente e/o una creatività efficace ad ottimizzare al meglio il proprio investimento ritagliandosi uno spazio significativo nella memoria di marca di noi consumatori.
Ai margini di questa classificazione è infine doveroso ricordare quei brand che hanno fatto la storia della tv italiana ma che senza far troppo rumore si sono piano piano defilati dalla nostra quotidianità, anche se temo non si tratti solo di una scelta strategica. (Vallespluga? Palmera? Se ci siete battete un colpo!)
Vi lascio con una domanda. Se voi foste responsabili comunicazione di un’azienda che vuole investire sul proprio brand, che si rivolge ad un target medio ed eterogeneo ma che non dispone di una memoria di marca significativa nella mente dei consumatori, dovendo fare una scelta, ve la sentireste di sacrificare la pubblicità televisiva in nome di una strategia di social media marketing?
Michele Rinaldi
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