"Il 45% degli italiani, infatti, considera la reputazione di un’azienda un fattore determinante al momento dell’acquisto di un prodotto".... serve altro?
Michele
Avere un’azienda solida non basta per una buona reputazione, per essere apprezzati entrano in gioco elementi più complessi che pesano nelle scelte dei consumatori. Il 45% degli italiani, infatti, considera la reputazione di un’azienda un fattore determinante al momento dell’acquisto di un prodotto, una percentuale che supera di sei punti la media europea. Il dato emerge da un’indagine di StrategyOne presentata al Forum della Comunicazione 2011 dall’ad di Edelman Italia, Fiorella Passoni, nel corso del dibattito 'Reti sociali. Storytelling e reputazione: come si definiscono le PR nell'era dell'always on'. “Se un tempo a darci fiducia era il valore economico, la solidità di un'azienda – spiega Passoni – oggi nella reputazione di un'impresa entrano in gioco elementi ben più ampi e complessi”, questo perché si è passati da un'era in cui “un comunicatore si rivolgeva alla massa” a una in cui “influenzatori diversi si ascoltano reciprocamente contribuendo a costruire una reputazione”.
Ma come si crea una una buona reputazione? Dall’indagine, realizzata incrociando i risultati di due ricerche internazionali (Trustbarometer, su 5mila opinion leader di 23 paesi con età tra i 25 e i 64 anni, e Goodpurpose, su oltre 7mila consumatori di 13 paesi) è emerso che per più di 7 italiani su 10 un’azienda rispettabile è una compagnia di cui fidarsi, che offra prodotti di qualità, che tratti bene gli impiegati e che conduca affari in modo onesto e trasparente. Per ben il 50% poi la credibilità di un'impresa è strettamente legata alla persona che la guida, contro il 33% del resto d'Europa.
L’era dei social network. Con l’avvento del web 2.0, ma soprattutto dei social network, farsi una reputazione è molto più facile. Ma le piattaforme stile Facebook possono essere un’arma a doppio taglio. “Per questo – spiega Fiorella Passoni - è fondamentale che l'azienda diventi protagonista della propria comunicazione perché, se non comunichi tu, lo farà qualcun altro per te”.
Anche in quanto alle fonti attenibili gli italiani si differenziano. Non si fidano dei giornali: solo il 15% crede ai quotidiani, contro il 26% di media europea e il 33% nel resto del mondo. Non va meglio alla tv e ai telegiornali (13% contro 27% e 31%) e radio (16% contro 26% e 27%). Neanche 2 su 3 si affidano ai periodici (24%), esattamente quanti si affidano invece ad un mezzo nuovo come i motori di ricerca (22% contro il 24% e il 29%). Poco creduti, ma la novità forse giustifica un certo scetticismo che coinvolge anche gli altri paesi, pure i blog (13%), i social network (7%) e i siti di condivisione contenuti come YouTube (12%). In ogni caso, per esser creduti in Italia bisogna soprattutto farsi sentire: 6 italiani su 10 dichiarano che per ritenere credibile un'informazione prima devono sentirla ripetere tra le 3 e le 5 volte, uno su dieci addirittura tra le 6 e le 9 volte.
Fonte: Business People
lunedì 13 giugno 2011
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