Il mensile specializzato Food ha pubblicato nel numero di Settembre una cover story molto interessante sull’ utilizzo delle forme di comunicazione unconventional nel settore alimentare. L’idea nasce dai “Leoni d’Oro” vinti a Cannes da alcune aziende operanti nel settore food&beverage.
Questo dossier mi ha condotto verso alcune riflessioni che desidero condividere per tentare di capire “Se?” e “per Chi?” è davvero possibile comunicare food attraverso le nuove forme di comunicazione.
Cominciamo dal “Se?”..
I brand alimentari competono storicamente in un mercato caratterizzato da un certo tradizionalismo bi-direzionale che lega la creatività generata attorno ai brand alle abitudini e stili di consumo dei famosi R.A. Per queste aziende uscire dagli schemi rischia di far perdere contatto con quella rassicurazione qualitativa dell’ “assaggio”, del contatto fisico con il prodotto (“si mangia prima con lo sguardo” .. dicono).
Ecco perché esplorare nuove forme di comunicazione da applicare ad un biscotto, un salume o un latticino qualunque va bene se, e solo se, fatto con coscienza, rispettando la marca, il pensiero strategico che la guida e il desiderio di “sicurezza” espresso dai consumatori. Il food&beverage italiano, secondo me, non è ancora pronto per uno stravolgimento totale dei paradigmi di comunicazione classici.
“per CHI’?”…
Se pensiamo unicamente “al soldo”, probabilmente, ci verrebbe da rispondere “per tutti!” in quanto l’utilizzo di nuovi canali permette di abbattere i costi dei media classici ed avvicinare anche le aziende medio-piccole che vedono la Tv come mezzo offlimits per i propri budget.
La realtà però è diversa ed è espressa chiaramente da Luca Scotto di Carlo, direttore creativo di Publicis Italia : “se un brand, un prodotto, un servizio, non hanno alle spalle un’eredità valoriale importante, è ben difficile che azioni pubblicitarie non-comvenzionali siano veramente efficaci.”
A Cannes sono stati premiati brand come Baci Perugina e Kit-Kat.. sicuramente brand coraggiosi e come sempre “two steps ahead”, ma come dire… i soliti noti!
Mi vengono in mente almeno due casi in cui marchi non noti del settore food hanno prosperato con strumenti non main stream, o in altri termini un-conventional: Le Tamerici è un'azienda mantovana al femminile che è cresciuta grazie al passaparola dopo una èpartecipazione ben riuscita ad uno dei primi Salone del Gusto; Olio Carli ha costruito il suo marchio con la spedizione postale generata dal passaparola, senza presenza in distrbuzione "tradizionale". Se l'unconventional fa rima e si fonda, alla fine dei conti, sul passaparola, forse anche le tante piccole aziende di qualità possono vederci uno strumento sufficientemente agile ed efficace, basato sulla prova diretta e sulla fiducia nell "evangelista" che lo diffonde?
RispondiEliminaL'un-conventional per i costi più limitati che comporta rispetto a mass media tradizionali sembra più alla portata di piccole e medie aziende.
RispondiEliminaCredo che il consumatore stia tornando a considerare il valore dei brand e quindi anche le aziende devono tornare ai contenuti e non solo alla forma (che comunque rimane importante).
Penso che nell'un-co sia fondamentale l'idea creativa che deve però supportare un prodotto valido.
Rita
Suggerirei di semplificare il discorso: la comunicazione di marketing non può essere divisa tra convenzionale e non-convenzionale, ma tra quella che funziona e quella che non funziona. Scopo della comunicazione di marketing è infatti quello di sviluppare le associazioni di marca desiderate presso i principali punti di contatto con i consumatori. Oggi questi punti di contatto si sono, grazie anche allo sviluppo delle tecnologie, moltiplicati. Quindi i media classici spesso non sono più sufficienti ad assicurare la copertura del target desiderata. Poi ci sono le limitazioni di budget ... (in questo sono assolutamente d'accordo con Rita).
RispondiEliminaAttualmente sto seguendo un cliente che vende aceto balsamico nella GDO. Il piano di comunicazione che abbiamo sviluppato prevede un piccolo investimento sui media classici, ma anche un discreto impegno in altre forme di contatto con i potenziali consumatori: nei ristoranti, nelle scuole di cucina, nei centri commerciali, ecc.
Un ultimo punto: il consumatore non ha mai smesso di considerare il valore del brand, spesso purtroppo è stato ingannato da una forma priva di sostanza, ma, nel fare marketing, la mancanza di contenuti rilevanti non ha mai portato molto lontano.
Riccardo
Sì Riccardo è vero in fondo il consumatore non ha mai smesso di cercare "valore" (ddel resto non avrebbe senso acquistare qualcosa pensando già che non valga). Però ... penso sia cambiato qualcosa. Forse questo valore si da meno per scontato, anche nel caso di grandi brand; diciamo che l'inganno (e a volte le risorse economiche più limitate) hanno portato a un po' di diffidenza ...
RispondiEliminaLe forme di comunicazione che citi non a caso portano a un contatto diretto tra prodotto e consumatore, il prodotto comunica il proprio valore in contesti dove avviene la scelta o l'utilizzo. Il consumatore che riconosce il valore del prodotto e aderisce è anche disposto a trasmettere questa sua "scoperta" ed esperienza positiva soprattutto in campo alimentare, a mio avviso
Rita