giovedì 2 settembre 2010

ETICA NELLE RP: LAVORARE SOLO SU QUELLO CHE SI CONDIVIDE?

Di Biagio Oppi, scritto sul blog PRanista

Sto per finire il libro di Patricia Parsons – su Google libri: Ethics in Public Relations – e l’ho trovato molto utile per stimolarmi varie riflessioni che vorrei approfondire appena lo finisco. Sono tantissime le tesi con cui mi trovo in disaccordo, ma a maggior ragione il libro mi stimola a leggerlo, rileggerlo e rifletterlo.
Però adesso sono sul capitolo intitolato PR per una gang di bikers e ho un’impellente urgenza da soddisfare:
l’autrice sostiene che si possa far PR, in maniera etica e corretta, solamente per committenti e/o progetti di cui si condividono i valori e le idee. La Parsons contesta l’analogia tra relatore pubblico e avvocato: cioè il fatto che il PR possa farsi portavoce delle istanze di chiunque.
In una recente discussione con una collega, pure lei sosteneva il punto di vista della Parsons, declinato ad esempio in politica: se non condivido un’idea di un partito/politico, non posso gestire la sua comunicazione e le relazioni pubbliche ad esso connesse. Io sinceramente non sono d’accordo.
Credo che la nostra professione e chi ci si riconosce (seguendo i codici etici e un’attitudine condivisa dalle associazioni professionali) abbia un livello base di valori comuni che sono in gran parte quelli della società liberale-democratica contemporanea (tolleranza, rispetto per gli altri, democrazia, uguaglianza, ecc.). Che vanno rispettati a priori.
A partire da quel livello credo che il nostro intervento debba essere più tecnico che ideologico, altrimenti intravedo diversi rischi:
- che la professione venga esercitata in determinati contesti (partiti, gruppi sociali, non-profit) più per crediti ideologici che per merito e competenza, svilendone la funzione;
- che l’ideologia accechi e non permetta di svolgere il ruolo di mediatori che i relatori pubblici hanno;
- che venga così rimosso il concetto stesso di ascolto degli stakeholder per una mera funzione di comunicazione a una via: non siamo forse i rappresentanto degli stakeholder nell’organizzazione?
Tre punti (non per niente in contrasto con gli Stockholm Accords) che mi sembra bastino già a dimostrare come il relatore pubblico non debba essere ideologizzato… altrimenti si trasforma in mero propagandista.
Che ne dite?
Tra l’altro una delle obiezioni della Parsons è che non siamo come gli avvocati perché gli avvocati si basano su un sistema, quello giuridico, frutto di secoli di sviluppo. Nella differenza tra sistema mediatico (o dell’opinione pubblica o della reputazione pubblica) e sistema giuridico, sarà perché sono figlio di scienze-dell-acomunicazione e di altre deviazioni mcluhaniane, vedo una mera differenza tecnologica e di temi: il sistema mediatico ha visto un’accelerazione incredibile negli ultimi anni, ma ciò non significa che non si configuri come un’arena in cui tutti hanno diritto a vedere difesa o consolidata la propria reputazione.

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